Un Giro d’Italia, quello del 1990, vinto correndo sempre in rosa dalla prima all’ultima tappa. Due Campionati del Mondo consecutivi (uno conquistato avendo sulle spalle i favori del pronostico, l’altro da quasi outsider dopo uno scarso periodo di forma) nonché, tra le altre vittorie, le due tappe all’Alpe d’Huez, che lo hanno reso uno dei Signori di quella che molti considerano la cima più prestigiosa del Tour de France.
Gianni Bugno, oggi 57enne, è stato uno dei corridori più importanti del ciclismo italiano e internazionale, e con Claudio Chiappucci nei primi anni novanta ha rinverdito la saga delle rivalità dell’Italia in bicicletta, dopo quella storica tra Fausto Coppi e Gino Bartali e quella più recente (a cavallo tra gli anni ’70 e ’80) tra Francesco Moser e Giuseppe Saronni.
Ora l’ex corridore brianzolo si dedica a un’altra sua grande passione che ha tramutato in professione, quella per la guida degli elicotteri, tanto che per un periodo è stato uno degli elicotteristi per le riprese televisive del Giro d’Italia (ora lavora soprattutto per il 118). E nel 2018 è stato confermato per la terza volta come presidente della Cpa, Cyclistes Professionels Associés, il sindacato dei ciclisti professionisti, non perdendo mai il contatto con il mondo delle due ruote.
In questa intervista a Calcio e Finanza l’ex iridato ha raccontato come è cambiato il mondo del ciclismo in questi trent’anni, di cosa questo settore abbia bisogno – anche a livello politico – per continuare a svilupparsi nel futuro e di come la bicicletta possa rappresentare un reale fattore di cambiamento per la mobilità se sostenuta da scelte amministrative adeguate.
Infine anche della sua passione per il calcio: dal tifo per l’Inter all’amicizia con l’allenatore del Milan Stefano Pioli.
Domanda. Lei è stato tra i primi ciclisti a essere il testimonial di grande aziende per gli spot pubblicitari. Come è cambiato il ciclismo dai suoi tempi a oggi?
Risposta. In realtà io credo che la grande svolta sia arrivata nel 1993 quando Mediaset acquistò i diritti per la trasmissione in tv del Giro d’Italia. Prima di allora la Rai si limitava a trasmettere la diretta della tappa il pomeriggio con qualche ripresa nei vari notiziari. Capisce il problema per una manifestazione che si disputa su tre settimane correndo tutti i giorni: la gente che lavorava nei giorni feriali era quasi tagliata fuori dal racconto quotidiano del Giro. Mediaset, forse perché anche aveva bisogno di ripagare gli sponsor che avevano finanziato l’investimento, iniziò a fare programmi dedicati sia al mattino che soprattutto la sera, così come succedeva già in Francia, permettendo così a tutti di seguire passo per passo lo sviluppo giornaliero della corsa rosa. In questa maniera tonificò ovviamente anche la visibilità degli sponsor che quindi erano più propizi a investire nel ciclismo.
Quando poi la Rai si riappropriò dei diritti (nel 1998, ndr), queste buone pratiche continuarono e ora, anche per il notevole numero di canali che l’emittente di Stato ha a disposizione, si può dire che c’è una copertura completa della gara in tute le ore. Con beneficio degli sponsor.
D. Ha citato la Francia. Si dice sempre che il Tour è più importante del Giro. È effettivamente così?
R. Purtroppo sì. I numeri dal fatturato delle due manifestazioni, le rose dei corridori partecipanti e l’audience mondiale che ha raggiunto la Grand Boucle sono lì dimostrarlo. Ed è un peccato perché l’Italia non ha nulla da invidiare alla Francia. Anzi. Il nostro territorio morfologicamente si presta meglio alle corse ciclistiche e mi lasci dire una cosa, da elicotterista che dall’alto ha un osservatorio privilegiato per osservare il paesaggio, il nostro Paese è anche più bello.
D. Cosa occorre per colmare il divario?
R. Innanzitutto bisognerebbe istituzionalizzare la sede di arrivo. In Francia da decenni il Tour termina sulla via più importante della nazione, che tra l’altro è anche una delle vie più famose al mondo, ovvero l’Avenue dei Campi Elisi a Parigi. Con il podio dei vincitori che si tiene sotto l’Arco di Trionfo lì vicino. Io mi domando perché noi non possiamo fare concludere il Giro sempre in via dei Fori Imperiali a Roma con il Colosseo sullo sfondo e con la premiazione sotto l’Arco di Tito che sta lì accanto. L’impatto mediatico sarebbe impressionante a livello mondiale. Inoltre c’è da sottolineare un’altra cosa.
D. Prego.
R. In Francia il Tour è vissuto come un evento nazionale a tutti i livelli. Il Presidente della Repubblica, che Oltralpe è anche capo del governo, è presente ogni anno almeno in una tappa della corsa. Spesso lo fa il 14 luglio, il giorno della festa nazionale in cui è presente anche la pattuglia aerea acrobatica transalpina. Il tutto crea un’allure che dà all’evento una rilevanza mondiale. Inoltre molte volte a una tappa presenzia anche il Primo Ministro.
In Italia invece spesse volte si fa fatica a portare un ministro. Questo è un peccato perché il ciclismo è anche un veicolo di promozione turistica importantissimo. E la politica dovrebbe interessarsene di più. Specialmente in un periodo come questo.
D. Si spieghi meglio.
R. Guardavo domenica in tv il derby Milan-Inter. A parte lo spettacolo della partita, lo scenario attorno era desolante, visto che gli spalti di San Siro erano senza tifosi. In questo terribile contesto di pandemia il ciclismo ha un vantaggio rispetto agli altri sport. Infatti sebbene lo spettacolo televisivo non possa godere della folle oceaniche che spesso accompagnano le grandi tappe di montagna, resta il fatto che anche senza spettatori a bordo strada le Dolomiti, i paesaggi e le città d’arte restano comunque a fare da cornice alla gara.
Questo rappresenta una cartolina filmata che viene inoculata allo spettatore per tutta la durata della tappa. E quando la pandemia sarà scomparsa potrà avere un ritorno economico vitale per un settore come quello del turismo tra i più colpiti dal Covid 19. D’altronde non è un caso se le amministrazioni comunali e le aziende di promozione turistica pagano fior di quattrini per diventare punto d’arrivo o di partenza di una tappa di un grande giro. Guardi, io ho fatto per decenni il corridore sulle strade di tutto il mondo e da anni sono elicotterista e ancora mi stupisco di quanto sia bello il nostro territorio sia in termini naturalistici che artistici.
D. Anche perché c’è una riscoperta della bicicletta sia per quanto riguarda la mobilità urbana che per l’aspetto più strettamente turistico.
R. Vero, ma anche qui ci sarebbero molte cose da dire.
D. Dica.
R. Vedo che molte amministrazioni si stanno sforzando per creare piste ciclabili. Cosa giusta in sé. Il punto però è che in molti casi si tratta di percorsi ciclopedonali che risolvono ben poco. Mi spiego meglio: per esempio, per risolvere il problema del traffico bisognerebbe creare piste ciclabili solo per biciclette mentre ai pedoni andrebbe riservato il solo marciapiede. Un po’ come succede nei Paesi Bassi. Io abito a Monza e per arrivare al centro di Milano il percorso, tutto pianeggiante, è di circa 15 chilometri. Sarebbe la situazione ideale per utilizzare una bicicletta per andare al lavoro, magari quella con la propulsione elettrica per non fare troppo fatica. Non c’è dubbio che la cosa snellirebbe il traffico non di poco.
Il problema è che bisogna rendere vantaggioso utilizzare una bicicletta per andare a lavorare in un tempo ragionevole. Ora per esempio le biciclette elettriche raggiungono una velocità (25 km/h, ndr) per cui se ci si imbatte in una signora con il passeggino oppure in una persona anziana ci si può fare molto male. Senza contare poi la manutenzione, in molti casi si osservano ciclabili in giro per l’Italia attraversate da radici di alberi. Un ostacolo pericolosissimo. Detto questo, però il tema più drammatico resta la sicurezza per chi va in bicicletta.
R. Un problema che talvolta si tramuta in tragedia in effetti.
R. In Spagna per esempio un’auto è obbligata a stare ad almeno un metro e mezzo di distanza quando si trova un ciclista dinnanzi a sé, altrimenti si incorre in pene severe che possono riguardare anche la sospensione della patente per un periodo di tempo. È una cosa che rappresenterebbe un deterrente fortissimo per quegli automobilisti troppe volte impazienti. Detto questo è bene anche che i cicloamatori non viaggino in gruppi troppo numerosi. Proprio per rispetto delle esigenze altrui.
D. Sembra quasi un manifesto politico per le due ruote.
R. Sono decenni che giro per le strade di tutto il mondo e se qualche istituzione volesse sentire il mio parere in tema di mobilità sarei ben felice di dare il mio contributo. Il tutto a patto che si facciano le cose per bene.
D. Venendo invece a temi più sportivi, calcisticamente sono note le sue simpatie nerazzurre. Come vede la stagione dell’Inter?
R. Come tifoso sono molto contento che la squadra abbia vinto il derby con merito. Detto questo conosco personalmente e stimo Stefano Pioli (l’allenatore del Milan, ndr) e dopo la partita gli ho inviato un messaggio sincero di “in bocca al lupo” per il prosieguo della stagione. Sono felice che Milano sia tornata ai vertici del calcio italiano.
D. E per quanto riguarda il ciclismo?
R. Con lo spostamento delle Olimpiadi al 2021 abbiamo davanti un quadriennio che vedrà due edizioni dei giochi anziché una (Tokyo 2020 e Parigi 2024, ndr). Io credo che abbiamo buoni giovani per avere delle fondate speranze.
D. Se deve fare un nome?
R. Il più banale ma anche il più probabile: Filippo Ganna nella cronometro.