Direttore generale dell’Inter, grande esperto del settore finanziario, al vertice anche di diversi istituti bancari come la Banca Popolare di Milano e anche uno dei padri fondatori del Fair Play Finanziario dell’Uefa. Ernesto Paolillo è uno dei dirigenti che forse meglio può spiegare il cambiamento che potrebbe derivare dalla nascita della Superlega.
Dottor Paolillo, cosa ne pensa della Superlega lanciata ieri dai club?
«Parlando molto seriamente, oggi come oggi questa idea, che era già nell’aria, sta solo a dimostrare che i grandi club che vogliono essere sempre competitivi faticano sempre più a mantenere in piedi i bilanci e hanno bisogno di competizioni più attraenti e più remunerative. Da tempo si sente parlare di un campionato europeo fatto ad alto livello, che quindi superi le tematiche dei campionati nazionali e gli scontri tra squadre molto competitive e altre meno competitive, e invece concentri l’attenzione di pubblico, sponsor ed emittenti sui partite di alto livello. Il problema vero è che soltanto 12 hanno aderito, faccio fatico come possa partire con 12 club».
Il progetto della Superlega secondo lei può coesistere con i campionati nazionali?
«Fatico a pensare possa coesistere, vediamo già adesso che hanno in campionato squadre blasonate dopo le partite di coppa per problemi trasferta competitività e quant’altro. E soprattutto faccio fatica a pensare a come possano sopravvivere contemporeaneamente questa Superlega e la Champions».
Spesso le voci sulla Superlega vengono usate come strumento di trattativa: stavolta il progetto può andare fino in fondo?
«Onestamente se rimangono solo in 12 mi auguro di no, perché fatica a stare in piedi, anche vedere partite solo tra 12 squadre diventa alla fine solo una cosa noiosa. Se invece riescono a convincere altri club e parte con almeno quarantina di club, numero che vedo come breakeven, allora le cose cambiano. Stiamo a vedere cosa accade».
Il divieto di vestire la maglia della nazionale può influire?
«Le sanzioni da parte di federazioni e leghe, soprattutto se viene impedito ai giocatori che partecipano alla Superlega di competere nelle nazionali, può diventare sicuramente un punto penalizzante per i club, perché finirebbero per non attrarre tutti i calciatori, ma solo quelli che magari non sono interessati alle nazionali».
Il FPF come lo avete pensate può esistere anche in una Superlega?
«Deve esistere, anche nel calcio post-Covid, nella maniera più assoluta. Se diamo libertà di spesa di spendere in base senza legare la spesa ai ricavi o all’effettiva possibilità di chiudere in attivo o quantomeno in pareggio, rischiamo di vedere solo grandi fallimenti all’orizzonte. Il FPF è per la salvezza di tutto il calcio. Ma questa spinta dimostra come sia diventato insostenibile anche il calcio tra i grandi club, perché hanno bisogno di trovare qualcosa per aumentare ricavi per coprire grosse perdite. Ed è un segnale preoccupante. Ridurre le spese per calciatori e agenti? È già qualcosa che sarebbe dovuto succedere da tempo, ma se aspettiamo l’autolimitazione dai club…».