Dopo mesi di indiscrezioni e al termine di una giornata convulsa nelle stanze del potere del pallone, nella tarda serata di ieri è arrivata la notizia che 12 tra i principali club europei – le inglesi Arsenal, Chelsea, Liverpool, Manchester United, Manchester City e Tottenham Hostpur, le spagnole Atlético Madrid, Barcellona e Real Madrid e le italiane Inter, Juventus e Milan- sono pronte a creare una Superlega europea a partecipazione chiusa e aperta solo ad inviti.
Un pugno in pancia per la gran parte degli sportivi e dei tifosi che sono cresciuti nell’idea che anche una squadra appena fondata, se poi avesse avuto successo, sarebbe potuta diventare in linea teorica anche il club campione del mondo scalando le varie serie di cui è fatto il mondo del pallone.
Per non parlare dei migliaia di appassionati di club storici e blasonati come Roma, Lazio, Napoli, Roma, Torino, Fiorentina, Genoa o Sampdoria che si sentono nei fatti abbandonati da quelli che per decenni sono stati i loro cari e odiati avversari. E tutto proprio mentre in questi anni una spelndida realtà come l’Atalanta dei Percassi non solo si è inserita stabilmente nel gruppo di squadre che lotta per la qualificazione in Champions league ma che anche ottiene ottimi risultati nella massiamo torneo europeo. Provando nei fatti che anche i piccoli possono ambire a vincere.
Insomma sta trionfando l’egoismo dei ricchi contro i meno fortunati?
Una testata giornalistica come Calcio e Finanza non intende in questo editoriale interrogarsi su questioni etiche che appartengono alla base sociale di questo sport e su quanto sia ormai labile il confine tra sport e business.
Tuttavia ha il dovere di domandarsi il perché si è arrivati a questa situazione.
La questione bolliva in pentola da tempo. E già in ottobre, Matteo Spaziante, inviato di Calcio e Finanza all’ultima assemblea degli azionisti della Juventus, aveva chiesto al presidente Andrea Agnelli quali fossero le sue intenzioni su un eventuale progetto di Superlega europea. Il numero uno bianconeri aveva risposto che era “un tema di attualità silente e costante ma attualizzarla in questo momento è estremamente difficile dal mio punto di vista”.
Si trattava di affernazioni tattiche per non svelare quello che bolliva in pentola? Oppure farsi genuine perché a quel tempo la situazione era veramente quella e poi si è modificata, visto che nel calcio come negli affari le cose cambiano velocemente.
Quel che è certo è che i sei miliardi di dollari garantiti dal gigante bancario newyorchese Jp Morgan Chase al progetto Superlega (di cui 4 miliardi subito) fanno molta gola ai club. E in questo senso si noti la tempistica del comunicato con cui i 12 club hanno ufficializzato l’intenzione di dare vita al nuovo tireno: quasi alla mezzanotte europea, tempistica non normale per chi fa affari nel Vecchio continente ma meno strana invece per chi deve lavorare con gli Stati Uniti dove a quell’ora è ancora prima serata.
Soprattutto sono evidenti i benefici economici per i club partecipanti. Per restare alle italiane:
- la Juventus potrebbe risolvere di colpo tutte le ombre suila situazione di bilancio che si sono palesate nehli ultimi esrecizi, Non a caso il titolo bianconero è salito di oltre il 10% in borsa oggi;
- La famiglia Zhang, per quanto riguarda l’Inter, non solo potrebbe permettersi di non vendere il club in attesa di tempi migliori: ma anche di alzare ulteriormente il prezzo qualora volesse vendere potendo sfruttare i ricavi della lega stile NBA;
- Il Milan potrebbe accelerare su un percorso di rilancio già iniziato e il fondo Elliott, proprietario del club potrebbe uscire dall’investimento, prima di quanto sia preventivabile ora, monetizzando l’incremento di valore della società;
- Infine le due società milanesi potrebbero anche affarancarsi , almeno in parte, dal discorso nuovo stadio. Questione che si sta impelagando sempre più nelle pastoie tipiche della politica italiana. Nel senso che se per ora il nuovi impianto appare vitale, con la pioggia di soldi della Supelega lo sarebbe meno.
Per non parlare delle società spagnole pieni di debiti. Il solo Barcellona ha un’esposizione vicina al miliardo.
Detto questo, sarebbe però scorretto vedere le eventuali colpe (se di colpe si può parlare quando si parla di business) da una parte sola.
Questa partita assomiglia sempre più a una battaglia finanziaria e come in tutte le guerre economiche, tutti, nessuno escluso, agiscono per convenienza, club “buoni” e federazioni inclusi.
Il Bayern Monaco è uno dei pochi grandissimi club a non aver ancora aderito alla Superlega. Ma la società bavarese, miglior esempio di gestione sportiva nel mondo del calcio nel mix tra successi sportivi e dati economici, gode anche di una posizione di rendita in patria di cui nessuno dispone al di fuori della Germania: quale altra società al mondo non ha praticamente rivali interni e nello stesso tempo è il campione nazionale sportivo indiscutibile della maggiore economia del continente con giganti della corporate Deutschland come Bmw o Volkswagen (tramite Audi) che fanno a gare per entrare nell’azionariato della società bavarese dove già sono presenti Allianz e Adidas?
Non a caso all’interno dei confini patrii, forse anche per invidia, la gestione del Bayern provoca molto più fastidi che al di fuori dei confini della Bundesrepublik.
Anche le federazioni o le confederazioni come Uefa o Fifa non possono chiamarsi fuori. I club, seppur carichi di debiti e problemi, sono quelli che pagano i giocatori (e le relative tasse sul lavoro ai vari erari) eppure non molto è stato fatto per aiutarli.
In un calendario già congestionato si sono inventate competizioni per nazionali di cui francamente non si sentiva il bisogno (Nations League) e recentemente la Uefa è stata inderogabile sugli impegni delle Nazionali quando pure la Conmebol (la confederazione sudamericana) ha sospeso le partite di qualificazioni ai Mondiali.
E’ evidente in questo quadro che la riforma della Champions League con il modello svizzero (presentata oggi) non ha convinto i top club. O quantomeno li ha convinti al momento di meno che la Superlega.
Perché la sensazione è che quella della Superlega sia la prima mossa di una lunga partita a scacchi tra i top club e l’Uefa e le federazioni. Nei decenni scorsi, quando negli anni novanta i maggiori club inglesi minacciarono la scissione per dare vita all’odierna Premier League o nei primi anni duemila quando le maggiori società di basket europee hanno creato l’Eurolega di pallacanestro, si è sempre arrivati a una soluzione più vicina ai desiderata dei club che a quelli delle federazioni.
Ora qui i punti interrogativi sono maggiori e bisognerà vedere dove porterà questa partita anche perché il calcio è un fenomeno sociale talmente vasto da interessare anche i governi. Non a caso sono intervenuti sulla questione, dicendosi contrari alla Suprelega, sia il primo ministro britannico Boris Johnson che il presidente della repubblca francese Emmanuel Macron.
Quel che è certo è che bsiogna fare in fretta perché poi ci sono in ballo i contratti miliardari pagati dall pai tv per una Champions Legaue dei prossimi anni che inevitabilmente perderebbe di valore.
E non da ultimo perché ci sono in ballo le sponsorizzazioni dei team più piccoli. Siamo sicuri che l’Atalanta avrebbe la stessa forza commerciale con gli sponsosr se non potesse più partecipare alla più prestigiosa competizione europea o se Inter, Milan e Juventus non dovessero partecipare alla Serie A come ha chiesto qualcuno?
[…] verso il progetto Superlega, ne ho trovati altrettanti più pacati e disposti a mettere in discussione il calcio europeo per come lo conosciamo […]