Quando riaprono gli stadi
San Siro a porte chiuse (Photo by Marco Luzzani/Getty Images)

Analisi a cura di
Antonio Marchesi
Senior Business Advisor di Monitor Deloitte

La crisi derivante dalla pandemia da Covid 19 ha colpito buona parte dei settori economici e in particolare quello dell’entertainment e del tempo libero ad alta concentrazione di persone, come lo sport.

Oltretutto il calcio italiano, prima frontiera di questo comparto, è nel bel mezzo di un guado estremamente critico, con la ricerca di una sostenibilità economica di sistema, con le mancate riforme da tempo auspicate, con il sempiterno problema dei diritti televisivi, con la conflittualità interna, con le ruggini della Superlega europea e ultimo, ma non meno importante, con il tema degli stadi e della loro gestione.

Se si concentra per un istante l’attenzione su questo ultimo aspetto, è facile capire come le porte chiuse, con i mancati incassi da biglietteria e da sponsorizzazione, stiano creando enormi difficoltà ai club. Lo sappiamo, così come sappiamo però che il problema stadio è molto più antico e complesso.

La situazione degli stadi in Italia

Gli stadi italiani sono, con pochissime eccezioni, vecchi, obsoleti e scarsamente vocati ad essere strutture flessibili atte a ospitare eventi in linea con le più attuali tendenze di fruizione di questi luoghi. Infatti si sono perse molte occasioni per uno sviluppo di impianti diversi rispetto ai contenitori temporanei di persone, come la maggior parte di essi si presenta.

La proprietà pubblica non ha di certo favorito una strategia di sviluppo e i club affittuari non hanno percepito il potenziale dello stadio come elemento di rafforzamento patrimoniale e diversificazione reddituale. Pertanto ci troviamo con stadi grandi e semivuoti; non è notizia il fatto che da anni in Italia si registra un fattore di riempimento inferiore al 60% contro il 95 % e oltre di quello inglese e tedesco.

In buona sostanza la stragrande maggioranza dei nostri stadi è gravata da un peccato originale, vale a dire una totale mancanza di visione. Qui si parla di stadi per sport professionistici, ma la stessa visione è mancata anche e sopratutto nei riguardi di tutti gli sport di base, con evidenti e diffuse carenze nell’impiantistica sportiva in generale. Ma questo è un tema che merita riflessioni ben più complesse, da valutare su altri tavoli.

La riapertura degli stadi come nuovo inizio

Per il calcio professionistico il tema delle riaperture degli stadi è fondamentale sotto tanti punti di vista, ma a mio parere dovrebbe essere ben contestualizzato. Gli interventi strutturali che saranno presi per contrastare il rischio di contagio non devono essere una soluzione tampone, basata sulla spinta emozionale della luce in fondo al tunnel ovvero finalmente vendiamo biglietti, bensì essere la basi fondante di un percorso articolato che sia occasione per un reale e progressivo riassetto di sistema.

Infatti i cambiamenti a volte sono voluti, altre volte sono resi necessari da fattori incontrollabili. Il Covid 19, con le ricadute che sta avendo sui comportamenti sociali, sui modi di fruire, di muoversi, d’interfacciarsi e via dicendo è un esempio di come la ricerca di una nuova operatività funzionale possa diventare paradossalmente un fattore di vantaggio competitivo.

Ancora non si può dire come sarà, se ci sarà, un nuovo mondo. Comunque a situazione normalizzata si dovrà ricercare per lo stadio un’operatività che riveli la sua giusta vocazione, quella che lo innoverà per riqualificarsi come una struttura più moderna, sicura e atta a fornire al territorio e ai tifosi nuovi servizi e nuove esperienze.

Molte società (tra cu Milan, Inter, Roma, Fiorentina,  Bologna,  ecc.) hanno da tempo concepito e presentato nuovi progetti e soluzioni complesse a questo proposito, ma con rarissime eccezioni i processi autorizzativi o altre ragioni rallentano, se non addirittura bloccano, l’avanzamento degli stessi. E passeranno anni prima di vedere le prime ruspe nei cantieri.

Ne consegue che quasi tutte le società del nostro calcio si dovrebbero porre pertanto il problema di ripensare a un nuovo inizio nell’attuale impianto, cogliendo in modo proattivo l’occasione per migliorare, nei limiti strutturali possibili, la fruizione e la qualità dell’esperienza offerta ai propri stakeholders.

Questa potrebbe essere l’eredità positiva di questo primo semestre 2021: avere a disposizione un terreno fertile e solidale per immaginare e realizzare per gradi dei miglioramenti dell’ecosistema per calcio che verrà.

Lo stadio luogo di aggregazione per eccellenza

Va infatti sottolineato che una riapertura con misure anti contagio, come è possibile ipotizzarle, è in palese contraddizione con i paradigmi più noti circa le ragioni per le quali il tifoso si reca allo stadio. La spinta per assistere alle partite seduti al freddo ovvero sotto il sole battente anziché a casa propria, sta nel suo essere un’esperienza profondamente aggregante e nel vivido senso di comunità che questo sa generare.

Non più tardi di domenica scorsa abbiamo visto come i tifosi interisti abbiano sentito il bisogno di radunarsi in piazza Duomo, sfidando il rischio Covid. Un’iniziativa di carattere collettivo, criticabile ma spontanea e pienamente in linea con lo spirito di chi si identifica in un gruppo sociale. Infatti la passione per il calcio non si può esprimere per conto proprio ma richiede un’interazione, una fisicità e un linguaggio collettivo.

Le specifiche misure anti Covid che saranno adottate sono una evidente negazione di questo sentiment. Quanti vorranno recarsi in largo anticipo in stadio blindato, dove vivere una esperienza di scarso spessore, restando isolati a metri di distanza dagli altri, correndo comunque dei rischi? Ci sarà un entusiasmo iniziale ma è lecito chiedersi quanto, senza altri stimoli, questo possa durare. Quindi sono necessari degli integratori esperenziali per consolidare il rientro del pubblico negli impianti. E qui il digitale diventa fondamentale.

Il digitale come opportunità per gli stadi di domani

Per chi non l’ha ancora fatto occorre quindi ripensare una nuova strategia partendo da una prospettiva di cambiamento tecnologico. Le società devono diventare agili e reattive, in grado di riconfigurarsi sulla base della velocità con cui i problemi si presentano, imparando a fare scelte in grado di correggere in corsa gli obiettivi.

Il set up dello stadio deve quindi essere ripensato nella traccia di questo percorso: la soluzione post pandemica, alla riapertura al pubblico non può limitarsi al semplice al distanziamento, ai percorsi obbligati, ai misuratori di temperatura e alla dimostrazione d’essere vaccinati e così via.

Si devono introdurre, grazie alla tecnologia digitale e nei limiti della fisicità della struttura esistente, una nuova configurazione e nuovi servizi che intercettino e soddisfino i bisogni relativi all’esperienza stadio per tutti gli stakeholders. Questi sono molti e diversificati e il più importante per il tifoso sarebbe quello di veder vincere la propria squadra e anche in questo lo stadio ha la sua importanza. Però ve ne sono altri, con priorità diverse di caso in caso, ma che sostanzialmente possono essere sintetizzati nei seguenti punti.

Funzionali, che sono  necessari per un approccio positivo                     all’esperienza, ma che valgono  in ogni circostanza, a prescindere:

  • connessione
  • mobilità
  • niente code
  • facilità d’accesso
  • comodità
  • semplificazione
  • sicurezza
  • organizzazione ed assistenza

Esperienziali, che esaltano e rendono più piacevole appunto l’esperienza stadio e sono alla base per l’ engagement e la fidelizzazione del cliente:

  • gratificazione personale
  • attrattività
  • possibilità d’ interazione
  • senso d’ appartenenza
  • qualità dei servizi
  • il club si prende cura di te

Sanitari, nati per la necessità di contenere la diffusione di agenti patogeni:

  •  tutela della salute
  • gestione della pressione e dell’ ansia
  • sicurezza reale e percepita
  • igiene

Le risposte e gli strumenti per poter soddisfare questi bisogni sono molteplici e vanno contestualizzati in base allo studio della tipologia di fan base e della struttura territoriale e sociale interessata. Ma, naturalmente, il discrimine sta nell’ ammontare degli investimenti necessari.

La finanziabilità degli stadi

Dall’inizio della pandemia si parla di ristori, di contributi per chi ha subito forti perdite dalle chiusure dei luoghi produttivi e di vendita. Questo vale anche per lo sport. In particolare il calcio, per dimensioni, interessi e capacità mediatica, ha lamentato gli effetti della crisi, ma occorre anche coerenza nei comportamenti ed avere una visione d’insieme, valutando come e in che misura si potrebbe trovare delle soluzioni, almeno parziali, per migliorare il sistema.

Ciò detto, si potrebbe considerare in linea di principio valutare la possibilità di fornire ristori e contributi, mirandoli ad investimenti per le ristrutturazioni che portino ad un sostenibile miglioramento dell’attuale impianto, garantendo in primis la sicurezza sanitaria per il pubblico e progressivamente portino le strutture esistenti ad essere in grado di soddisfare al meglio le esigenze di tutti gli stakeholders interessati.

Lo strumento potrebbe essere la creazione di un Fondo ad hoc alimentato sia dal Governo nell’ambito dei decreti sostegni, sia da altre fonti.

In particolare si potrebbe riconsiderare il divieto di pubblicità e sponsorizzazione allo sport da parte delle agenzie di scommesse, introducendo per queste iniziative un sistema di tassazione destinato al Fondo.

Di converso si potrebbero incentivare fiscalmente gli investimenti pubblicitari e industriali mirati agli obiettivi prima indicati (naming rights, pubblicità virtuale, tecnologia, data management, soluzioni ambientali, di risparmio energetico e via dicendo).

Il set up dello stadio che riapre dovrebbe quindi essere ripensato nella traccia di questo percorso: la soluzione post pandemica e il graduale ritorno del pubblico deve essere occasione per introdurre modifiche strategiche per dare una nuova configurazione e una nuova funzionalità ai nostri impianti, finanziando i progetti attraverso contributi e agevolazioni fornite dal Governo.

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Aziendalista, ha fondato e diretto per anni il segmento Sport Industry di Deloitte. Ha collaborato con la Uefa, la Figc, la Lega di A, la Lega Pro e numerosi Club. Ha fatto parte del Consiglio di Amministrazione di AC Milan e di Milan Entertainment e ha insegnato per oltre un decennio Gestione delle Aziende Sportive nell’Università di Torino. Attualmente è consulente strategico per la Sport Innovation e collabora con P4I del gruppo Digital 360. Fa parte del Comitato Scientifico del Master for Sport Architecture del Politecnico di Milano di cui è Coordinatore dell’ area Programmazione e Pianificazione.