Superlega Pozzo
Il patron dell'Udinese, Giampaolo Pozzo (copyright: via Onefootball)

Nel giorno del suo 80esimo compleanno, Giampaolo Pozzo, patron dell’Udinese, ha concesso un’intervista al Corriere del Sera. L’imprenditore friulano è ormai da 36 anni il n.1 del club, ha voluto raccontare alcuni aspetti della sua carriera, dal modo di pensare l’imprenditoria del calcio alla multiproprietà, con un pensiero anche al discorso sul nuovo stadio. 

Pozzo è da molti considerato il primo imprenditore ad aver messo insieme il calcio con l’azienda, ma lui stesso si ridimensiona: «Non mi sento così importante, ho portato con me concetti industriali e di vita in cui credo. Qualunque azienda si gestisca, una famiglia, una bottega o la Fiat, la regola è sempre la stessa, dare e avere devono andare d’accordo. Altrimenti prima o poi finisce male». 

 

In ogni caso, il patron dell’Udinese è stato uno dei primi ad acquistare squadre all’estero: «Il calcio è l’hobby di famiglia. C’è chi si iscrive a un circolo di golf o gioca a bocce. Ma in casa ci è sempre piaciuto la sensazione di sofferenza e piacere che dà il calcio».  

«Capitò un’occasione in Spagna, il Granada in Serie C. Con mio figlio decidemmo di comprarlo. Lo riportammo subito in prima serie, un gran bel lavoro, l’abbiamo tenuto sei anni poi l’abbiamo venduto. L’esperienza ci era piaciuta. Abbiamo continuato a guardarci intorno, a Londra, dove avevamo altri nostri interessi. Così è nato il Watford. Se ne occupa mio figlio, ormai vive a Londra», spiega Pozzo. 

Sul confronto tra calcio italiano e calcio inglese, secondo Pozzo gli inglesi sono «sono più lineari, più coerenti, più imprenditori e meno politici. Decidono, non si dividono. Guardi cosa hanno fatto davanti alla Superlega. In due ore le squadre coinvolte sono state prese a schiaffi. Storia finita. Noi stiamo ancora a discutere cosa fare». 

E ancora, a proposito del caos legato al nuovo torneo nato e naufragato nel giro di 48 ore: «Nel calcio devi conciliare le tue vittorie con le sconfitte degli altri: lo sconfitto ha bisogno del vincitore e viceversa. Da soli non esistiamo. Questo era l’errore della Superlega, che le dodici fondatrici non prevedevano sconfitta: volevano scegliersi da soli l’avversario». 

Di conseguenza, servono regole di comportamento per Pozzo: «Sì ma non voglio dettarla io, vorrei conservare un po’ di stile. Anche se, detto tra noi, lei mi dà 250 milioni, io faccio una squadra per vincere lo scudetto. E se non lo vinco devo considerarmi un imbecille, nel senso che avrei sbagliato scelte io, non i soldi. Ma nei debiti delle grandi società ci sono anche responsabilità individuali. Manager pagatissimi, storici, lo stesso tecnico, sono stati protagonisti e partecipi di questa situazione. Dovevano essere anche loro a dire fermiamoci. Gli stipendi, l’Iva, le tasse, vanno pagati nel tempo giusto, non dopo, altrimenti si falsa la gara». 

 

Infine, il patron friulano parla della costruzione del nuovo stadio Friuli (Dacia Arena) e dei motivi che hanno portato ai lavori: «Non abbiamo cercato l’affare, abbiamo cercato di dare alla gente la possibilità di vedere la partita in modo decente. Prima, con la pista, la distanza minima tra uno spettatore e il campo era di trenta metri. Poi c’era l’esigenza di dare una copertura. Questa è una città piovosa, l’aria è spesso fredda e umida. Dovevamo rendere tutto più fruibile». 

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