La Belt and Road Initiative (BRI) cinese è uno dei più ambiziosi progetti della storia dell’umanità. Nata dalla volontà della Cina di uscire dall’accerchiamento, reale o percepito, in cui la sua posizione geografica l’ha relegata, la BRI consiste in progetti terrestri e marittimi per intensificare i collegamenti commerciali tra il Dragone e l’Eurasia.
Gli investimenti cinesi a riguardo coprono tutto il mondo, dall’entroterra asiatico fino all’Europa, passando da diversi Paesi in via di sviluppo (Pvs). Paesi che per accogliere tali investimenti si sono indebitati con Pechino, e la cui esposizione debitoria ammonta fino al 10% del loro prodotto interno lordo.
A rivelarlo è uno studio di AidData, istituto di ricerca americano, riportato dal Financial Times, nel quale si sottolinea come questo “debito nascosto” ammonti fino a 385 miliardi di dollari. “Quando l’ho scoperto mi è mancato il fiato” ha dichiarato Brad Parks, direttore esecutivo del centro.
La questione, secondo il prof. Simon Chadwick, esperto di economia e geopolitica del calcio presso l’Em Business School di Lione, ha diversi legami con il mondo dello sport. In particolare, Chadwick pone l’attenzione sulla “diplomazia degli stadi”, quel meccanismo di soft power per cui Pechino cerca di accattivarsi le autorità e l’opinione pubblica di un determinato Paese costruendo infrastrutture, tra cui stadi e impianti sportivi, al fine di portarlo dalla propria parte in politica internazionale.
Il meccanismo funziona in questo modo: la Cina costruisce lo stadio, in cambio il Paese in questione, per esempio, taglia i rapporti con Taiwan. Recentemente, questo tipo di investimenti è stato portato avanti in Africa, contribuendo ad alimentare la preoccupazione dell’Occidente, confermata dalla reazione di Parks di fronte ai dati.
La diplomazia degli stadi riguarda quasi tutti i Paesi del continente. Gli esempi principali sono dettati dalla Tanzania, uno dei punti sulla mappa della BRI: sono ben tre gli stadi di costruzione cinese nel Paese. Altri riguardano Gibuti e Kenya, anch’essi parte integrante della strategia di Pechino. Negli anni, questi investimenti “sportivi” sono stati accompagnati da interventi infrastrutturali di vario genere, alimentando la spirale debitoria di questi Paesi nei confronti della Cina.