«Il calcio è lo sport più internazionale che ci sia, per questo motivo è un ottimo strumento di soft power, per farsi conoscere all’estero. Il soft diventa quindi a sua volta funzionale per raggiungere l’hard power, che può essere rappresentato per esempio da accordi che riguardano risorse energetiche. Vi è quindi uno stretto rapporto tra il calcio e la geopolitica, e il “derby del Golfo” tra Qatar e Arabia Saudita risponde a queste dinamiche».
Sono queste le parole con cui Alessandro Postiglione, giornalista e docente della Rome Business School, commenta l’ingresso dell’Arabia Saudita nel mondo del calcio europeo, nel corso di una conferenza di presentazione del libro Calcio e Geopolitica. Come e perché i paesi e le potenze usano il calcio per i loro interessi geopolitici.
Il libro, scritto a sei mani insieme a Valerio Mancini, docente presso la Rome Business School, e Narcís Pallarès-Domènech, addetto relazioni esterne della Delegazione del Governo della Catalogna in Italia, getta luce sugli stretti legami tra il mondo del pallone e la geopolitica, che spaziano dall’utilizzo del calcio come strumento diplomatico fino al ruolo dei nuovi protagonisti, come i capitali americani, cinesi e arabi.
Secondo Postiglione, l’acquisto del Newcastle da parte del Public Investment Fund saudita risponde quindi anche a una logica geopolitica di soft power, all’interno della strategia di rinnovamento dell’immagine del regno all’estero: si tratta soltanto di uno dei tanti esempi dell’utilizzo del calcio come strumento di potere da parte degli attori internazionali.
D’altronde, «la cartina ONU presenta 193 Stati, quella FIFA 211 federazioni: il calcio è in grado di cogliere in maniera molto precisa le dinamiche internazionali» commenta Pallarès-Domènech. «Pensate agli otto sponsor della Champions League. Riguardano tutti prodotti che possiamo comprare ogni giorno, tranne uno: Gazprom, azienda di Stato della Federazione russa per la vendita del gas direttamente ai Governi».
«La Russia utilizza così il calcio per raggiungere i suoi scopi geopolitici, soprattutto per l’approvvigionamento energetico di un gigante come la Germania. Si spiega anche così la scelta di investire nel Mondiale 2018» conclude Pallarès-Domènech.