Festa Scudetto Milano
(Foto: Claudio Villa/Getty Images, via Onefootball)

Carlo Monguzzi, primo firmatario della delibera per l’istituzione del dibattito pubblico sul nuovo stadio di Milan e Inter, è intervenuto al Corriere della Sera per provare a spiegare cosa succederà oggi in aula dopo che il Comune non ha dato il parere di legittimità.

«La delibera non è all’ordine del giorno proprio per questo motivo. Chiederò che venga messa comunque in discussione». In caso di risposta negativa, «sarebbe assolutamente incredibile che una cosa così importante come chiamare i cittadini a discutere possa essere bloccata dall’interpretazione di un codicillo. Voglio mandare avanti la volontà politica del Consiglio che è quella di coinvolgere i cittadini».

«Lavoriamo su tre ipotesi – ha spiegato Monguzzi –. La prima è quella di andare avanti con il dibattito nonostante manchi il parere di legittimità. Si può fare lo stesso. Il Consiglio comunale è eletto dai cittadini per fare politica».

Per Monguzzi «il mancato parere deriva da un’interpretazione di un codicillo che si trova all’interno del Regolamento di partecipazione fatto dal Comune. Noi presenteremo la richiesta di eliminare il codicillo. Mal che vada si slitta di qualche giorno. Certo, sul codicillo che è un fatto tecnico si misura la volontà politica».

In alternativa, «la presentazione di una mozione che dica alla giunta di fare le stesse cose previste dal dibattito pubblico senza far riferimento al Regolamento, superando così la tagliola».

Tuttavia, «l’ipotesi della mozione è in subordine rispetto alle prime due che sono dibattito pubblico. La terza è un succedaneo che ha però una forza politica molto forte. Io sono per le prime due ipotesi. Il Consiglio non si fa bloccare da un codicillo, gli uffici devono dire come andare avanti, non come fermarsi».

E per quanto riguarda il referendum? «Lo decidono i cittadini. È nelle mani dei cittadini e non della legge sugli stadi. Nel caso io firmerò sicuramente ma non posso neanche lontanamente pensare che il Consiglio non possa fare il dibattito pubblico. Non siamo nella repubblica delle banane».

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