«Non siamo contenti, ma speriamo che questo passo indietro, compiuto nella consapevolezza che la tutela della salute venga prima di tutto, sia compreso e apprezzato». Alessandro Antonello, amministratore delegato dell’Inter, ha parlato così – alla Gazzetta dello Sport – del nuovo tetto a 5.000 spettatori deciso a seguito dell’assemblea della Lega Serie A che si è tenuta ieri.
«Il provvedimento è stato votato all’unanimità, a dimostrazione che siamo tutti allineati, ma non nego ci sia stato un po’ di malumore per una certa demagogia che emerge da determinate richieste. Pensare di chiudere gli stadi, all’aperto, ma lasciare i cinema alla massima capienza è strano, no? C’è stato anche chi ha fatto notare che durante le festività natalizie, con il campionato fermo, la curva dei contagi purtroppo non ha rallentato, anzi. Segno che non è negli stadi che si diffonde il virus», le parole dell’AD nerazzurro.
L’obiettivo è evitare il picco della pandemia per poi ripartire: «Sì, scongiurando anche una chiusura totale degli impianti che sarebbe un colpo durissimo per club che da due anni soffrono le conseguenze economiche dell’emergenza Covid. Il calcio è un settore determinante per il Paese, anche a livello di Pil, ma nonostante questo non ha ricevuto adeguati ristori».
«È evidente, anche alla luce della situazione attuale e di questa nuova riduzione degli incassi. Il governo finora ha dato al calcio appena 56 milioni per tamponi e sanificazioni, di cui solo 5 in Serie A, più alcune dilazioni fiscali e contributive, che restano comunque soldi che le società dovranno pagare. Il settore cinema invece ha ricevuto oltre un miliardo di euro», ha aggiunto ancora Antonello a proposito del tema ristori.
«Sul nostro mondo – ha concluso – temo pesino ancora troppi pregiudizi, perché è vero che il grande giocatore guadagna tantissimo, ma è vero pure che dietro al pallone esiste e resiste un capitale umano fatto di migliaia di lavoratori che sono i primi a fare le spese di certi atteggiamenti. Il governo sta tutelando il lavoro di tutti i settori del Paese, come è giusto che sia, ma il calcio non viene ascoltato».