L’amministratore delegato dell’Inter Giuseppe Marotta ha rilasciato una lunga intervista a Il Sole 24 Ore. Il dirigente neroazzurro ha commentato l’attuale situazione del settore calcio in Italia, dopo due anni di pandemia. «La Serie A e più in generale il calcio italiano sono a rischio default. Questa cosa il Governo e le istituzioni politiche non possono più ignorarla. È un sistema sull’orlo del baratro, che aveva certamente squilibri già prima del Covid, ma che non ha ricevuto praticamente nulla in questi due anni di pandemia. I margini di resistenza si sono assottigliati al minimo».
Marotta è preoccupato dal trattamento che il Governo ha riservato al mondo dello sport, dove – in Italia – gli aiuti sono arrivati con il contagocce e sono nuovamente state ridotte le capienze negli impianti: «Premesso che la salute dei tifosi ci sta a cuore sopra ogni altra cosa. È indubbio che con mascherina ffp2, super green pass e la capienza ridotta al 50% gli impianti all’aperto siano spazi sicuri. Aver dovuto ridurre gli ingressi a 5mila spettatori è stata un’ulteriore dimostrazione di serietà e un ulteriore sacrificio per noi. Per questo negli ultimi provvedimenti del Governo come la legge la Bilancio e il decreto Ristori ci saremmo aspettati più considerazione».
Sull’eccessivo populismo nei confronti del mondo del calcio, Marotta ha spiegato: «Si pensa che il calcio sia ancora il mondo dei presidenti “ricchi-scemi” che buttano via soldi per diletto. Il nostro mondo fa fatica a farsi riconoscere per quello che è, però come si fa a ignorare il fatto che il calcio professionistico è un comparto industriale come gli altri? Che ha un giro d’affari pre-pandemia di quasi 4 miliardi e ne versa all’Erario ogni anno 1,2?».
Un commento anche sul mancato ripristino delle sponsorizzazioni del betting: «Oltre 100 milioni di contratti volatilizzati. Mentre all’estero e in ambito UEFA giochiamo contro club sponsorizzati da società di quel settore che peraltro produce un giro di puntate da oltre 10 miliardi all’anno su eventi calcistici. Perchè non riconoscere a nostro favore una sorta di copyright e un fondo più cospicuo su questo volume d’affari?».
In chiusura, una riflessione sulle mosse necessarie per il monde del pallone, che vanno oltre l’emergenza sanitaria: «Non c’è dubbio che si debba creare un modello più sostenibile, riducendo gli ingaggi. Calciatori e sindacati non possono celarsi dietro i contratti principeschi firmati in epoca pre-covid. Ma attenzione ai tagli eccessivi. Non possiamo permetterci di perdere competitività a vantaggio dei tornei stranieri. Sarebbe un circolo vizioso. Semmai dobbiamo far crescere i ricavi».