Italia banche esposte
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Le sanzioni alla Russia potrebbero rivelarsi un boomerang per l’Italia. Lo riporta Il Giornale, parlando del fronte energetico, con il nostro Paese che per il 90% del fabbisogno conta su gas importato dall’estero, di cui il 40% da Mosca. La situazione, in particolare, è più che delicata soprattutto per imprese e famiglie italiane alle prese con il caro-bollette.

Da inizio anno le bollette dell’elettricità sono aumentate del 55% e quelle del gas del 40%, il peso sul 2022 dovrebbe essere di 90 miliardi aggiuntivi. Un conto già salato che potrebbe lievitare anche se l’Ue rassicura sulla tenuta del sistema delle forniture. Certo, se per l’Italia i rubinetti si dovessero chiudere, non sarebbe possibile sostituire quel gas da un giorno all’altro e l’effetto scarsità si riverserebbe sui prezzi.

Ma a subire le conseguenze più pesanti potrebbero essere le società maggiormente presenti in Russia e Ucraina, ovviamente a seconda delle sanzioni che saranno effettivamente decise. La lista dei grandi gruppi italiani attivi nell’area è lunga. In particolare, sono oltre 500 le aziende impegnate in rapporti d’affari con la Russia, da Barilla a Pirelli passando per Generali e Snam con un interscambio che nel 2021 ha segnato un forte incremento, superando i 20 miliardi di dollari.

Al momento sembrerebbe che il settore più fragile possa essere quello delle banche: Citi, Société Générale, l’austriaca Raiffeisen e Unicredit. I gruppi multinazionali, considerando anche le loro controllate, vantano crediti per circa 121 miliardi di dollari nei confronti di controparti russe, che a loro volta valgono 128 miliardi di dollari in termini di raccolta per gli istituti internazionali. E le banche italiane sono fra le più esposte, assieme alle francesi, verso Mosca con 25,3 miliardi dollari (22,3 miliardi di euro) ai quali vanno aggiunte altre esposizioni potenziali come i quasi 6 miliardi di garanzie.

Gli istituti francesi sono esposti per 25,1 miliardi, quelli austriaci per 17,5 e gli statunitensi per 14,6. Le banche tedesche si limitano a 8 miliardi. Anche il settore delle costruzioni è visto in affanno anche se, per esempio, l’italiana Webuild non ha alcuna attività in Russia e Ucraina.

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