Il ct dell'Italia, Gin Piero Ventura (Insidefoto.com)
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«Servono delle riforme concrete, non basta parlarne, e un rapporto diverso tra i club e la Nazionale: non può essere vista come un fastidio, dovrebbe essere il riferimento di tutto il sistema». Sono le parole di Gian Piero Ventura che nel corso di una lunga intervista con il Corriere della Sera ha parlato dei problemi del calcio italiano, ritornando anche sulla partita con la Svezia del 2018 che costò la qualificazione ai Mondiali di Russia e che a molti è tornata in mente dopo la gara di giovedì contro la Macedonia del Nord.

«Per certi versi mi è sembrato di rivivere la partita con la Svezia. Ma il contesto era completamente diverso – sottolinea Ventura. – Prima dei playoff la mia Nazionale era già contestata. Eppure io sono uscito con Svezia e Spagna, ma non mi piace fare comparazioni. Se poi penso a certe immagini: per esempio Gravina a Palermo era vicino a Mancini, al suo allenatore, gli ha dato sostegno».

E ancora: «Ho sorriso in questi giorni leggendo alcune dichiarazioni, qualche giornale: “Nel calcio può succedere”, “Caccia ai colpevoli”. Nel 2017 ce ne era solo uno. Trovai scorretto dovermi prendere tutte le colpe. Ma ormai l’ho superato, spero che l’Italia torni presto tra le migliori squadre del mondo».

Sulla Nazionale e su Mancini, l’ex tecnico del Torino ha detto: «Come si passa da un Europeo vinto alla mancata qualificazione al Mondiale? C’erano stati dei segnali, negli ultimi mesi. Si faceva troppa fatica a far gol. Durante l’Europeo la squadra era coraggiosa, bella in alcune giocate, leggera. Contro la Macedonia quelle sensazioni sono diventate fatica, affanno, timore. Hanno perso certezze. Penso che Mancini sì, ci sono tutti i presupposti per riprendere il discorso interrotto a Palermo».

Ventura si sofferma poi sulla situazione del calcio italiano e sulle possibili soluzioni: «Il calcio italiano si è fermato un po’ sul piano delle idee, è meno divertente. C’è stato l’exploit di Gasperini con l’Atalanta, poi qualche anno fa il Napoli di Sarri. Per il resto non mi sembra che sia un momento esaltante. Servono delle riforme concrete. Bisogna dare più importanza ai settori giovanili, deve prevalere la tecnica sulla tattica. Prima alle scuole calcio i ragazzini passavano ore col pallone tra i piedi, la tattica era l’ultimo dei problemi. Se non hai la tecnica come fai a giocare?».

«I giovani devono avere tempo e spazio per crescere – prosegue l’ex citì. – Tra gli attaccanti della Nazionale molti non hanno mai giocato in Champions League. L’esperienza internazionale serve, ti dà consapevolezza. Col Decreto crescita sono arrivati tanti giocatori dall’estero, alcuni neanche così bravi. Mettere un freno ai giocatori stranieri nel nostro calcio, e così liberare alcuni ragazzi, può avere senso».

Per quanto riguarda gli allenatori: «Sono spesso in difficoltà, costretti ad ottenere tutto e subito perché senza risultati vanno a casa. Il binomio Ventura-Cairo al Torino ha funzionato perché io non avevo l’ambizione di arrivare chissà dove. La mia libidine era lanciare talenti: Zappacosta, Cerci, Immobile, solo per fare qualche esempio. La società era in simbiosi con me. Così ha senso, ma di solito in serie A un allenatore sa che rischia il posto senza risultati, quindi non perde tempo a far crescere i giovani».

Chiosa finale sul campionato di Serie A: «Per lo Scudetto credo sia una sfida a tre. All’Inter manca un vice Brozovic, ma per il resto è la squadra con la rosa migliore. A Torino contro la Juventus è decisiva: se vince può avere un’iniezione di fiducia importante, se perde diventa tutto più difficile. Il Napoli ha un organico di livello: Osimhen è devastante, Anguissa è stata una felice intuizione, Koulibaly è il miglior centrale d’Europa. Ma si è fermata in due scontri diretti. Al Milan invece c’è un connubio totale tra società e squadra: come giocatori sono più giovani, magari si pecca di inesperienza, ma è un gruppo vero. Per questo, dovendo scegliere, dico i rossoneri».

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