«Avevo già firmato un accordo con il Real Madrid. Poi la mattina ho chiamato il Presidente e gli ho detto che non sarei andato perché avevo scelto la Juventus. Mi ha ringraziato. Da quando mi ha chiamato la Juventus a maggio non ho avuto nessun dubbio». Massimiliano Allegri racconta a GQ la più grande sliding door della sua carriera.
Quella che l’ha portato di nuovo a Torino invece di provare il campionato spagnolo alla guida del Real. «Tornando ho trovato un gruppo di ragazzi disponibilissimi oltre che tecnicamente bravi. Si sono messi subito a disposizione, con molta voglia di lavorare che è un elemento che ti trasmette questo club. Io credo che la Juve stia ritrovando il senso d’appartenenza, che è molto importante in prima squadra ma anche nel settore giovanile».
Allegri sono vari anni che ripete che la crisi del calcio italiano parte dai giovani: «Al di là di alcune cose che sono cambiate e di cui va preso atto la struttura fisica dei ragazzi, e la globalizzazione del calcio, due fattori che pesano, io credo che il problema principale del nostro calcio è che si usano i giocatori come cavie degli allenatori, sia nelle prime squadre che nei settori giovanili. Ma il calcio è un’arte, madre natura ha il suo peso. Tutti possono migliorare, certo, ma se uno è scarso può diventare meno scarso, non diventerà mai uno bravo».
«E uno che è bravo – ha aggiunto – può diventare più bravo. Va ovviamente data un’organizzazione, va data un’idea di gioco, poi però il calcio di fatto ha una componente psicologica e umana da cui non si può prescindere: ci sono giocatori che un anno fanno bene e un altro fanno male, perché? Perché sono esseri umani; i giocatori non sono tutti uguali e non si può pensare che le cose che facciamo un anno andranno bene per tutti gli altri anni. Ai ragazzi va insegnato il gioco del calcio, perché uno che ha conoscenza del calcio poi gioca ovunque».
Poi, la classica questione su gioco e risultato: «Guardiola, che è un allenatore straordinario, cosa ha fatto? Tutti pensano a partire dal basso, lui ha comprato un portiere che lancia la palla a ottanta metri. Questo per dire che spesso la gente si fa abbindolare da cose che non esistono: alla fine c’è da vincere la partita. E tutte le partite non sono uguali, senza contare che all’interno della partita ce ne sono tante diverse».