Nella giornata di ieri la Procura della FIGC ha fatto le sue richieste davanti al Tribunale Federale Nazionale – tra inibizioni per i dirigenti e multe per i club – per quanto riguarda il processo sulla questione plusvalenze che coinvolge, tra le altre, anche Juventus e Napoli in Serie A.
Il processo – sottolinea La Repubblica nella sua edizione odierna – ruota intorno a una domanda, a cui dovrà rispondere il Tribunale presieduto da Carlo Sica: può un metodo di valutazione dei calciatori definito a posteriori diventare il paradigma per una sanzione disciplinare?
La Procura ha riformulato le valutazioni dei calciatori sulla base di un metodo tutto suo: non un algoritmo ma una semplice somma di presenze, gol, categorie di provenienza, “premiando” in un certo senso la carriera più della crescita in prospettiva. «Secondo questo metodo i giocatori di 35 anni varrebbero tantissimo, quando in realtà nessuno vorrebbe comprarli, mentre dei giovani per cui ci hanno offerto milioni varrebbero centomila euro», ha commentato un presidente, contestando il sistema.
La stessa Procura ha dato l’idea di credere poco nella solidità dell’accusa, avendo smontato quelle più pesanti, che potevano portare a una penalizzazione di Parma e Pisa. Nella giornata di ieri, Chinè si è limitato a chiedere solo una multa, 338 mila euro al Parma, solo 90 mila al Pisa: indulgenza sulla carta concessa per non far scontare le “colpe” alle nuove proprietà.
Tuttavia, secondo La Repubblica la Procura rischia di aver commesso un grossolano autogol capace di polverizzare l’intero procedimento. Un vizio procedurale, contestato dalle difese di tutte le società coinvolte. Il primo atto dell’indagine, infatti, è una lettera in cui la Covisoc invia quella che in un processo ordinario si definirebbe la “notizia di reato” alla Procura. Secondo le accuse, però, non lo è: scrive infatti la Covisoc di avere avuto «pregresse interazioni» con la Procura, e richiama una nota di sei mesi prima, ossia del 14 aprile. In cui la Procura avrebbe fornito alla Covisoc «indicazioni interpretative» per rintracciare possibili plusvalenze gonfiate.
Le difese degli accusati hanno chiesto di avere accesso a quella nota. Ma è stata negata: per la Procura, non è attinente. Messa così, quasi una violazione del diritto di accesso agli atti. Soprattutto perché in quella nota erano contenute le “indicazioni interpretative” su come rintracciare possibili plusvalenze gonfiate.
Questo significa che la lista di operazioni su cui si è concentrata l’indagine è figlia di quelle interpretazioni. Inoltre, la Procura aveva già notizia di irregolarità e se così fosse, vorrebbe dire che Chinè non ha rispettato il termine di 30 giorni per aprire un’indagine, un vizio potenzialmente sufficiente a minare l’intero processo.