Rigenerazione impiantistica sportiva – Secondo i sostenitori della “teoria delle finestre rotte” (una teoria costruita sulla base di alcuni esperimenti sociali condotti dagli anni 60′ in poi) gli esseri umani interagiscono con l’ambiente che li circonda in maniera tanto più rispettosa e corretta, quanto più lo percepiscono pulito, normato e controllato dalla collettività che lo abita.
Per questa ragione, e non solo per esigenze estetiche, bisognerebbe recuperare il patrimonio edilizio vittima dell’incuria e delle intemperie. In coincidenza delle zone degradate, infatti, è opinione di molti criminologi che aumentino i comportamenti incivili, criminali o devianti, pertanto, le P.A. dovrebbero sempre evitare che esse finiscano in decadimento.
Ed a maggior ragione, poi, le amministrazioni pubbliche dovrebbero intervenire quando a versare in stato di abbandono sono gli impianti sportivi, considerato quanto risparmia il Servizio Sanitario Nazionale tramite la regolare attività fisica della popolazione (circa 2,3 miliardi di euro l’anno, secondo uno studio condotto nel 2017).
Rigenerazione impiantistica sportiva – cosa cambia con la riqualificazione
Tuttavia, che cosa significa rigenerare un manufatto edilizio e che cosa implica, invece, riqualificarlo?
Ebbene, intorno ai due concetti c’è ancora un po’ di confusione. Spesso, infatti, i due termini vengono utilizzati come sinonimi, quando, in realtà, come ha sottolineato il presidente del CNAPPC, Francesco Miceli, sinonimi non sono.
Per la precisione, infatti, riqualificare significa effettuare interventi volti a ripristinare o convertire ad un nuovo uso, gli edifici, gli impianti e le aree residenziali che risultano dismessi e/o versano in stato di abbandono. Rigenerare, invece, consiste nel dare nuova vita a tali luoghi e restituirli alla collettività senza ricorrere ad alcun sfruttamento di suolo aggiuntivo, bensì agendo in un’ottica di inclusione e di integrazione sociale.
La rigenerazione urbana, dunque, parte dalla riqualificazione del patrimonio edilizio pre-esistente, ma non punta soltanto a renderlo eco-compatibile ed economicamente sostenibile, mira anche a trasformarlo in un nuovo luogo di aggregazione, affinché esso, di riflesso, rafforzi la comunità circostante.
Sotto quest’aspetto, pertanto, riguardo all’impiantistica sportiva abbandonata e/o dismessa, la sfida concernente la sua rigenerazione non è soltanto quella di ammodernarla e reintegrarla con il paesaggio confinante o quella di abbassare i costi relativi alla sua gestione, ma è anche quella di creare nuovi spazi ibridi, fruibili dalle varie frange di popolazione che li andranno ad abitare, vivere e/o utilizzare, anche (o eventualmente) organizzandovi eventi ed iniziative di tipo socio-culturale.
In proposito, alcune amministrazioni si sono già mosse in questa direzione, mentre altre hanno appena deciso di imboccarla. Ad esempio, il comune di Catania è al lavoro per restituire ai cittadini il PalaNesima, forte dei 9,3 milioni di euro provenienti dal “Patto per Catania” , mentre la città di Frosinone, con un investimento di 2 milioni di euro circa , ha trasformato il vecchio stadio Matusa in un giardino pubblico pensato per lo sport all’aria aperta e le nuove generazioni (un po’ come aveva fatto Udine con lo stadio Moretti vent’anni prima). Eppure, lo stato di conservazione in cui versano altri impianti, tra i quali figurano il Flaminio ed altre 13 strutture sportive romane, ci ricorda che quanto è stato fatto fino ad ora non basta e che sul tema c’è ancora tanto lavoro da fare.
Rigenerazione impiantistica sportiva – cosa prevede il PNRR
Sicché, per porre rimedio a questa situazione, dopo che il governo ed il legislatore erano già intervenuti più volte negli ultimi anni, nei mesi scorsi il Dipartimento per lo Sport ha pubblicato, nell’ambito del programma “Sport ed inclusione sociale” del PNRR, due differenti avvisi pubblici di invito a manifestare interesse per l’aggiudicazione di finanziamenti relativi alla realizzazione di progetti di costruzione, completamento o rigenerazione di complessi sportivi.
Il primo avviso, comprensivo di due diversi Cluster, era rivolto ai comuni capoluogo di regione ed ai comuni capoluogo di provincia con una popolazione superiore alle 20000 unità (primo Cluster) nonché ai comuni italiani che avessero una popolazione superiore ai 50000 abitanti (secondo Cluster), ed era mirato all’aggiudicazione di finanziamenti destinati alla realizzazione di impianti sportivi polivalenti indoor, cittadelle dello sport oppure impianti natatori (per un totale di 538 milioni di euro complessivi).
Il secondo avviso, invece, era diretto a qualunque comune italiano e concerneva l’erogazione di 162 milioni di euro per la costruzione o la rigenerazione di complessi sportivi di interesse delle federazioni sportive nazionali, anche paralimpiche, per un massimo di 4 milioni di euro ad intervento.
Premesso che, per entrambi gli avvisi, il 40% delle risorse disponibili dovrà comunque essere destinato agli enti locali del Sud Italia, l’aggiudicazione di tutti i lavori e dei relativi finanziamenti è prevista per il 2023, mentre la loro realizzazione dovrà concludersi 3 anni più tardi.
Il 2026, di conseguenza, ci dirà se gli interventi che saranno finanziati e portati a compimento tramite il bando saranno stati capaci di raggiungere l’obiettivo o se, piuttosto, si assisterà alla nascita di una nuova serie di piste, campi, stadi o palazzetti, che non produrrà un generale e sistematico miglioramento del decoro urbano, né migliorerà la coesione sociale.
Analisi a cura di Carlo Iannaccone, studente MasterSport 2022.