(Photo by Gabriele Maltinti/Getty Images)

Vigilia dell’inizio della nuova stagione per l’Atalanta. Domani i nerazzurri si raduneranno, poi saranno a Clusone (BG) dall’11 al 17 luglio, per preparare il rilancio della Dea dopo una stagione al di sotto delle aspettative. Di questo e molti altri temi ha parlato Gian Piero Gasperini in una lunga intervista rilasciata alla Gazzetta dello Sport.

«Sarà un’Atalanta da battaglia, animata da spirito di rivincita – esordisce il tecnico degli orobici -. Uscire dalle coppe ci ha dato rabbia. Vedremo che squadra nascerà. Oggi sul mercato l’Atalanta è come in campo: dinamica, coraggiosa, si sbatte, non resta rintanata a Zingonia. Non ha ancora chiuso un affare, ma non ho nulla da rimproverare. Come alla squadra».

E torna sul mercato della scorsa stagione: «Nuove energie avrebbero aiutato. Un campione avrebbe portano nuovo entusiasmo e stimolato la competitività. Siamo rimasti troppo a lungo gli stessi. Toloi, De Roon, Freuler, Djimsiti sono lì da prima che arrivassi io. I miei scontri in tema di mercato sono nati sempre dalla stessa esigenza: non restare fermi».


«Abbiamo avuto delle vendite importanti, degli introiti notevoli dalla Champions, ma siamo rimasti molto statici, soprattutto davanti. Di esterni almeno ne sono passati una ventina, puoi dire che non li abbiamo azzeccati. Davanti invece siamo rimasti gli stessi e nel frattempo abbiamo perso Gomez e Ilicic, Zapata si è infortunato. Le squadre si migliorano quando si rafforzano in attacco. Non è un caso che l’Inter abbia ripreso Lukaku e cerchi Dybala, che la Juve abbia investito tanto su Vlahovic. Milan e Napoli uguale. Questo è stato il mio scontro e il mio rammarico: siamo rimasti uguali solo perché segnavamo tanti gol. E invece, soprattutto negli ultimi due anni, con le risorse a disposizione, era il momento giusto per immettere un nuovo campione, come Gomez ed Ilicic. Sono arrivati altri profili».

«Non dico che l’Atalanta non abbia speso (si vedano i 20 milioni per Musso e per il riscatto di Demiral). L‘Atalanta ha speso, ma in attacco non è stato fatto ciò che chiedevo: inserire un pezzo, poi un altro… E ci siamo ritrovati a fare tic-toc al limite per 60’, senza entrare in area, senza calciare, strappare una punizione, un rigore… E in contropiede ci facevano gol».

E su Boga, per il quale è stato fatto un investimento di 22 milioni: «Il problema di Boga è il costo. Fosse costato quanto lo ha pagato il Sassuolo, saremmo tutti contenti. Ha dribbling, scatto, tecnica. Ma è stato pagato come un campione carismatico e decisivo.
Al momento è un giocatore individuale e basta. Ma è giovane e imparerà».

Per quanto riguarda la famiglia Percassi: «Tra noi c’è un rapporto reciproco di stima e gratitudine che non mancherà mai. Ho anche detto loro: “Forse sono io quello che deve andare via”. Ma non hanno voluto assolutamente accettare la soluzione. Ora ci unisce lo slancio per ripartire. L’ingresso degli investitori americani per me è stata a una grande emozione, per loro un’occasione fantastica. Aver fatto conoscere l’Atalanta nel mondo, fino a Boston, grazie alla squadra, è stato un percorso fantastico. Nei fatti, per me, non cambia nulla. Ho parlato una volta sola, per 5 minuti, con Pagliuca quando è venuto a una partita».

In conclusione sul rapporto con la città di Bergamo: «Se sono ancora qui è per il forte legame con la città. Durante l’ultima partita con l’Empoli, ho percepito forte la richiesta della gente: “Rimani a Bergamo”. Questa cosa ha condizionato le scelte, perché io ero veramente pronto a lasciare, se la società avesse voluto. Questo affetto e questa fiducia mi hanno trattenuto. Il mio impegno sarà moltiplicato per ricambiare».

«Io sono rimasto perché sono convinto che a Bergamo ci siano le condizioni per lavorare bene insieme e per costruire qualcosa che rafforzi ancora di più l’orgoglio di appartenenza. Ma l’unione dev’essere fondata sui valori, non sui risultati. Io non ho mai abbassato l’asticella. Quando sono arrivato e c’era da salvarsi, io dicevo “possiamo competere con gli altri” e siamo arrivati in Europa League. E quando eravamo in Europa League, dicevo: “Noi possiamo arrivare in Champions”. Ma ora è diverso. Ora dobbiamo fare la squadra, cominciare a giocare e poi vedere. L’ambizione ce l’abbiamo tutti. Ma Bergamo non può gonfiarsi la bocca: “Torniamo in Champions”, altrimenti non è più Bergamo. Altrimenti saremo scontenti di un pareggio e tutto si farà difficile. È il momento di capire che cosa siamo capaci di fare, di rimetterci in discussione, partendo da un livello inferiore rispetto alle grandi, perché questo ha detto la classifica. Il calcio cambia velocemente, quando pensi di essere al top, arrivano gli americani o un Monza… Ad ogni campionato dobbiamo misurare le nostre forze. Se ci riferiamo solo alle cose straordinarie fatte negli anni scorsi, ci troveremo in grande difficoltà. Avere l’ambizione di ripeterci è scontato, io non parlo di traguardo salvezza, ma non possiamo avere la convinzione di essere una big. Noi non siamo un big. Lavoriamo per diventarlo. E intanto diamo battaglia. Ci divertiremo».

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