Il tormentone Bremer è evidentemente una questione giornalisticamente molto golosa. Due squadre tra le più tifate d’Italia – Juventus e Inter – e da sempre acerrime avversarie che si contendo il miglior giocatore di un club, il Torino, che in una delle due – la Juventus – ha la sua massima nemica al punto che la sua tifoseria saluta con favore quando un altra squadra sventa un possibile nuovo successo della Vecchia Signora.
La stragrande maggioranza dei tifosi granata avrebbe infatti salutato più volentieri il passaggio del brasiliano all’Inter che non agli odiati cugini. Ma nell’epoca del calcio&business la storia è andata diversamente: la Juventus forte di una proposta più redditizia sia per il Torino (41 milioni più 8 di bonus) sia per il giocatore (5 milioni netti annui, si è assicurata il difensore brasiliano con un contratto fino al 2027.
Dal punto di vista bianconero non ci sono dubbi: l’operazione è stata un successo e anche un grande affare in termini di bilancio. Infatti Calcio e Finanza ha calcolato che l’uscita di De Ligt dalla rosa bianconera e la conseguente entrata di Bremer nella rosa di Allegri genera nell’esercizio 2023 un effetto positivo per circa 41 milioni (58 milioni tra plusvalenza e risparmio per De Ligt, 17 milioni come maggiori costi per Bremer). Un secondo aspetto riguarda anche il fatto che la Juventus, riuscendo a trovare l’accordo col Torino per il difensore brasiliano, ha lasciato nel pantano l’Inter, che puntava a portare a Milano Bremer come sostituto di Skriniar, che sarebbe stato ceduto con maggiore “leggerezza” per portare a casa l’incasso richiesto dalla proprietà.
Non solo, secondo alcuni osservatori la Juventus ha fatto un affare anche dal punto di vista tecnico visto che Bremer si adatterebbe meglio a una squadra allentata dal tecnico livornese. Posto che poi bisognerà vedere se De Ligt. In un team che gioca più in stile Ajax, non riuscirà a tornare sui livelli con cui nei Lanceri aveva stupito l’Europa. Ma questo non è il lavoro di una testata come Calcio e Finanza.
Bremer alla Juve, i “rischi” per il Torino
Se si vede l’operazione dalla sponda granata, la questione è un po’ più intricata. Urbano Cairo è un imprenditore di primissimo livello e i tifosi granata che lo contestano dovrebbero sempre rammentare dove si trovava la squadra – sempre in bilico tra Serie A e Serie B – e la società – in preda sempre a grossi problemi finanziari – prima che l’uomo d’affari alessandrino arrivasse sulla soglia di Via Arcivescovado. Per lui parlano i successi nel settore editoriale con RCS (che dal 2016, quando Cairo ha acquisito la maggioranza, ha chiuso sempre i bilanci con risultati positivi per utili oltre 350 milioni fino al 31 dicembre 2021) e La7 (che nonostante il Covid ha mantenuti ricavi stabili e anzi in salita), mentre per il Torino, dopo svariati bilanci in utile, ha chiuso gli ultimi esercizi in rosso anche per effetto del Covid.
In questo senso da un punto di vista di bilancio la vendita di Bremer non fa una grinza: la Juventus offriva 41 milioni senza contropartite in un affare a titolo definitivo, l’Inter 30 milioni più il cartellino di Casadei (valutato intorno ai 7 milioni) e quindi il Torino cedendo Bremer ai bianconeri ha guadagnato 11 milioni “cash” in più, circa 4 come valutazione complessiva.
La finanza però è qualcosa di più di un semplice calcolo matematico. Se così non fosse i banchieri di investimento non guadagnerebbero quei salari astronomici cui puntano la gran parte degli studenti di economia di tutto il mondo quando mettono nel mirino un posto di lavoro nella City di Londra o a Wall Street. La finanza è anche timing, opportunità e intangible asset, ovvero il patrimonio intangibile.
Per il Torino è evidente che gli intangible asset sono la storia granata: non solo il Grande Torino e la tragedia di Superga, ma anche quella di un club che deve sopravvivere (e quindi avere un base di tifosi) in una città, nemmeno poi tanto grande, che deve dividere con la società storicamente più potente e più ricca d’Italia.
È in questo quadro che si pone il quesito se la differenza di valutazione di 4 milioni tra l’offerta bianconera per Bremer e quella dell’Inter sia valsa la pena scegliere quella di Agnelli e Nedved. Pensate a un bambino tifoso del Torino che da un giorno all’altro vede il suo idolo passare agli avversari più odiati e alla sua reazione quando tornerà in classe di fronte a compagni juventini.
È un quesito che ha visto la nostra redazione spaccata sul tema se sia stato giusto o meno accettare l’offerta bianconera. E quindi, come narra una buona regola del giornalismo, se ha suscitato dibattitto in redazione è plausibile interesserà anche i lettori.
Qui non si tratta di sapere chi è nel giusto o meno. Ma ciò che qui preme è palesare che non si tratta di un discorso tra il calcio dei sentimenti e quello del business, ma di due modi di vedere lo sport&business.
In economia i clienti hanno due meccanismi per protestare contro un venditore se la merce acquistata non è buona: voice, vale a dire fare presente al venditore che la merce non è all’altezza, oppure exit, banalmente non rinnovare più il patto di fiducia nei confronti del venditore e andare a comprare la merce da un concorrente. Nel calcio la questione è diversa, il cliente/tifoso ha un solo meccanismo di protesta, il voice. L’exit non è contemplato, al limite si tramuta in disaffezione verso la squadra, ma il tifoso in questione non virerà mai verso un altro sodalizio. Per questo i grandi club investono pesantemente su tutto (Tik Tok, Twich) ciò che può fidelizzare i tifosi più piccoli. Una volta conquistato, un tifoso sarà per sempre tuo, al limite si disinnamorerà ma non sarai mai di qualcun altro.
Sempre meno tifosi granata a Torino
Chi scrive ha frequentato Torino con assiduità per almeno 15 anni avendo seguito quale giornalista finanziario le vicende di casa Agnelli, di Exor, di Fiat prima, Fca, poi e Stellantis in seguito per tutta l’era Marchionne e non solo. E ha potuto tastare personalmente come anche nel centro città, storica roccaforte granata, il numero dei tifosi del Torino si sia andato assottigliando negli anni. Amici piemontesi narrano come solo alcuni genitori granata siano riusciti a passare la passione Toro ai propri figli, altri hanno dovuto soccombere alla attrazione che la vittoria esercita sui più piccoli e hanno visto i loro bimbi finire per tifare Juventus (soprattutto nei nove anni scudettati della presidenza Agnelli e sotto l’effetto bomba dell’arrivo di CR7). Altri “hanno limitato i danni” permettendo ai figli di tifare Inter o Milan. Ma almeno non i cugini.
Quel che è certo che il numero dei sostenitori granata si va via via si è assottigliando e anche la passione sta venendo meno. Negli anni ’70 mai Orfeo Pianelli, presidente del Torino scudettato del 1976, avrebbe potuto vendere il più forte della squadra – Pulici? Graziani? Claudio Sala? – alla Juventus di Boniperti, e negli anni ottanta i meno giovani non avranno dimenticato lo sconquasso in città alla notizia che il giovane bomber granata Aldo Serena sarebbe passato sull’altra sponda del Po. Ora invece soltanto qualche timida protesta sulla carta stampata o sui social. Sintomo sicuramente di maturità in senso di senso civico e di rispetto delle scelte di libero mercato di una società ma anche di una evidente disaffezione.
Ovviamente una prima risposta al quesito di cui sopra – ovvero se Cairo abbia fatto bene ad accettare o no l’offerta più sostanziosa in termini monetari – giungerà da come il Torino investirà quei milioni supplettivi sul mercato e come questi frutteranno sul campo. Ma come testimoniato dalla lite tra il direttore sportivo Davide Vagnati e l’allenatore Ivan Juric (divenuta virale sui social network), che l’atmosfera in casa granata non sia delle più serene è quantomeno evidente.
Il tutto però ricordando quanto detto all’inizio: i tifosi granata che contestano Urbano Cairo dovrebbero rammentare dove erano prima che il manager alessandrino arrivasse sulla soglia di Via Arcivescovado, la sede dei granata.