Il Manchester United è in vendita. Un’altra big della Premier League inglese apre le proprie porte al mercato dopo il Liverpool e dopo la cessione del Chelsea, che dalle mani del patron russo Roman Abramovich è passato in quelle del consorzio guidato dall’imprenditore statunitense Todd Boehly. Ma perché un’altra big inglese è pronta alla cessione?
Partendo dal Liverpool, il Financial Times in un recente ritratto dello statunitense John Henry, l’uomo d’affari statunitense che è il maggior azionista del Fenway Sorts Group (il gruppo che controlla i Reds) con il 40% delle azioni, lo descrive quale un manager che nonostante la passione che circonda il club mai si è lasciato trasportare dall’entusiasmo che a Liverpool sa essere trascinante e che soprattutto «sa quando vendere» e uscire al momento giusto da un investimento.
Il FSG, infatti, comprò il Liverpool 12 anni fa per 300 milioni di sterline e ora, viste le cifre delle quali si vocifera, potrebbe ottenere una plusvalenza monstre. Ma, soprattutto, spiega il quotidiano della City, «sembra voler uscire dal calcio europeo mentre ne è ancora al vertice». Quasi a sottintendere che il recente periodo d’oro dei Reds possa essere destinato a scomparire nel prossimo futuro.
La stampa britannica in particolare fa trapelare infatti che la possibilità di incassare una lauta plusvalenza dall’investimento non sia l’unico motivo dietro la decisione di Henry. Citando le parole dell’allenatore dei Reds Juergen Klopp di inizio novembre – «ci sono tre club nel mondo del calcio che possono fare ciò che vogliono a livello finanziario» con chiaro riferimento alle tre società posseduta da entità del Golfo Persico: Manchester City, Newcastle United and Paris Saint-Germain – gli osservatori inglesi hanno fatto notare come il timore che regna non solo nei piani di Henry ma anche di molti proprietari occidentali (per lo più statunitensi) di squadre della Premier League è che l’equazione società vincenti e insieme con ottimi risultati di bilancio che è stato il paradigma di alcuni club del campionato inglese di questi anni sia fortemente in pericolo.
Anche perché il tramonto della Superlega (Henry inizialmente aveva aderito al progetto salvo poi fare marcia indietro come tutti gli altri club inglesi coinvolti) ha fatto scomparire l’idea dei posti assegnati per diritto al massimo torneo europeo. E con il fatto che la Premier League (che ha a disposizione quattro posti per quella macchina da soldi che è la Champions League) è sempre più competitiva – ormai alle storiche big six (Arsenal, Liverpool, Manchester City, Manchester United, Chelsea e Tottenham Hotspur) va aggiunto a pieno titolo anche il Newcastle saudita – per le squadre inglesi ottenere la certezza di un posto stabile nel più importante e remunerativo torneo europeo è sempre più difficile e nessun club ha la garanzia di restare al vertice.
Lo stesso discorso può essere accostato al Manchester United. I Glazer acquistarono il club per 790 milioni di sterline nel 2005 e se davvero riuscissero a incassare tra i 6 e gli 8 miliardi di sterline – questo sembra essere il loro obiettivo – porterebbero a termine un’operazione straordinaria. Il rischio che la Premier (e di conseguenza i suoi club) abbia raggiunto il picco del suo valore c’è, per quanto il divario con le altre leghe sia ancora enorme.
Non solo. Anche l’autorevole quotidiano inglese The Times cita il crollo del progetto per la Superlega europea – che potrebbe riprendere vigore con le decisioni della Corte di Giustizia dell’Ue, ma che rischia anche di essere affossato definitivamente – e la potenza dei club di proprietà degli Stati del Golfo come motivazioni valide per «esplorare quali siano le parti interessate là fuori».