Malagò risponde a Infantino
Giovanni Malagò, presidente del CONI (foto Insidefoto.com)

“Voglio anch’io un presidente forte e un cambio radicale del sistema”. Il presidente del Coni e commissario straordinario della Lega Calcio, Giovanni Malagò, impegnato con gli azzurri ai giochi olimpici in Corea del Sud, si allinea alle parole dei giorni scorsi del numero 1 della Uefa, Gianni Infantino, preoccupato dai commissariamenti di Figc e Lega.

“E’ normale che la Uefa voglia avere più di 220 Paesi al mondo con federazioni regolarmente elet­te – ha detto Malagò in un’intervista alla Gazzetta dello Sport – Al tempo stesso è evidente che nel caso dell’Italia si sia trascinata una situa­zione che ha crea­to un’eccezionalità. Sono il primo ad augurarmi che si rientri nella ordinarietà: sarà nostro compito ed impegno cercare di fare il possibile per accelerare la tempistica”.

Va individuato al più presto un nome per evitare che si ricreino le dinamiche di stallo che hanno caratterizzato gli ultimi mesi, anche se il Presidente del Coni tende a precisare “che si chiu­derà il commissariamento solo nel momento in cui ci saranno i pressupposti”.

Il gap con Germania e Inghilterra

Il numero uno della Uefa in un’intervista alla Gazzetta ha parlato delle profonde differenze tra realtà come quella inglese e tedesca in confronto a quella italiana. “Questi Paesi da due batoste terribili hanno creato i presup­posti per creare strutture e settori giovanili con i Mon­diali Under 17 e 20 – ha continuato Malagò – Noi dobbiamo cercare di sfruttare questa situazione estremamente negativa come opportunità. Bi­sogna avere il coraggio, di innova­re, di portare avanti una politi­ca sportiva molto diversa da quella fatta fi­nora”.

Sulla rivoluzione del calcio proposta da Infantino il presidente del Coni si affianca alla denuncia dei costi mostruosi dei trasferimenti e dei ricavi degli agenti. “Ci sono società nel mondo che preferiscono dissanguarsi per comprare un calciatore o per pagare commissioni per una compravendita di un giocatore anziché investire sulle infrastrutture, nel settore tec­nico, sui vivai. Ci sono squadre che magari non hanno un cen­tro di allenamento. Questo è un modello culturale che mi fa dare ragione al presi­dente della Fifa».

 

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