Lazio tamponi positivi – Non solo la negatività di Immobile e Leiva. Il caso tamponi della Lazio potrebbe non essere più una questione legata soltanto a tre giocatori. Dalla verifica di laboratorio dei test sequestrati dalla Guardia di Finanza nelle scorse settimane nella sede di Formello del club, emergono numeri molto più ampi, che, se confermati, farebbero pensare addirittura a un focolaio.
Lo scrive il Corriere della Sera, ripercorrendo la vicenda. Il quotidiano parte della scelta di Lotito di affidare a Futura Diagnostica di Avellino i tamponi. Alla vigilia di Torino-Lazio del 1° novembre scorso il laboratorio irpino certifica la negatività, tra gli altri, anche di Immobile, Leiva e Strakosha, che invece erano risultati positivi quando la Lazio aveva giocato contro il Bruges in Champions, con i tamponi del laboratorio UEFA.
Inzaghi è quindi libero di schierare chi vuole, ma da quel momento le contraddizioni tra gli esami eseguiti da Futura Diagnostica e quelli svolti da altri laboratori si ripeteranno più volte. Finché la Procura di Avellino decide di aprire un fascicolo, fa sequestrare i tamponi e iscrive nel registro degli indagati, per falso, frode in pubbliche forniture e epidemia colposa, Massimiliano Taccone, titolare del laboratorio.
Il primo passo è far ripetere nei laboratori dell’ospedale Moscati gli esami su tutti i tamponi acquisiti, che sono novantacinque. Non appartengono tutti a giocatori, ci sono quelli dei loro familiari e quelli di altri dipendenti della Lazio.
Ma i risultati depositati ora dal consulente dei pm ingigantiscono di molto l’intera questione. Perché a fronte degli otto positivi (non giocatori) riscontrati in passato dal laboratorio di fiducia di Lotito, stavolta quelli che risultano contagiati sono ben più di venti.
Come sia stata possibile una differenza così ampia cercheranno di stabilirlo le ulteriori indagini. Ma nel frattempo la difesa di Taccone è pronta a mettere in discussione gli esami eseguiti al Moscati. L’avvocato Innocenzo Massaro depositerà già oggi in Procura una richiesta di verifica di quegli accertamenti.
Secondo la tesi della sua consulente, ci sarebbero stati errori sia nella conservazione dei tamponi dopo il sequestro eseguito dalla Guardia di Finanza, sia nell’esecuzione degli esami stessi. Secondo il perito della difesa i reperti non sono stati tenuti alla necessaria temperatura e il laboratorio li avrebbe processati a troppi giorni di distanza dai prelievi.