«I gruppi ultrà vennero allo stadio in settimana, per fare le prove (della coreografia) e per il piegamento dei teloni. Con il passare del tempo si erano abituati a fare un po’ i padroni della curva. La sentivano come casa loro».
A parlare è Alberto Pairetto, Supporter Liaison Officer (Slo) della Juventus, che nella giornata di ieri ha testimoniato in tribunale a Torino nella veste di parte civile al processo Last Banner contro alcuni esponenti della tifoseria organizzata bianconera.
Nell’ultima settimana del febbraio 2016 e c’era da “vendicare” un affronto da parte dell’Inter. Il 18 ottobre precedente la scenografia di San Siro era stata irridente e beffarda: «La banda bassotti con addosso la maglia della Juve», ricorda Pairetto, un fumetto che aveva fatto infuriare società e tifosi.
Fu così che il 28 febbraio successivo, al ritorno del doppio confronto di Coppa Italia, club e ultrà pianificarono la vendetta, prima sulle tribune dell’Allianz Stadium, poi sul prato (2-0). «Un grande pagliaccio con la maglia dell’Inter con una tenda da circo dai colori nerazzurri e lo scudetto di cartone», le parole di Pairetto, riportate dal Corriere della Sera.
Quello del 2006, scucito alla Juve da Calciopoli e assegnato ai rivali. Coreografia formato gigante: «Insomma, gli ultrà diedero una mano. Gli “striscionisti” erano un pegno da pagare, ma anche un vantaggio per la coreografia», riassume il testimone.
Poi c’erano le tensioni, anche se lo scenario delineato dalle indagini somiglia tanto a quello di altri stadi italiani. Ovunque ci sono ultrà, gli steward non vanno in mezzo alla curva. «Stanno in zone perimetrali, e a Roma sono stati presenti solo quando sono state montate la barriere divisorie dei settori», ha concluso Pairetto.