Si è aperto nella giornata di oggi il World Football Summit Europe, evento che si tiene al Wanda Metropolitano di Madrid (stadio che ospita le gare interne dell’Atletico) e del quale Calcio e Finanza è diventato media partner ufficiale.
Durante l’evento è intervenuto Miguel Angel Gil Marin, amministratore delegato dell’Atletico Madrid, il quale ha toccato diversi temi legati all’industria del calcio. Il ceo dei Colchoneros ha parlato degli effetti della pandemia, della Superlega e della questione del calendario internazionale.
«Uno stadio senza pubblico non è uno stadio di calcio», ha esordito a proposito dell’epidemia di Coronavirus, che a cominciare dalla parte finale della stagione 2019/20 ha tenuto lontano il pubblico dagli eventi dal vivo.
Poi, parlando dei calendari e degli scontri tra FIFA e UEFA, ha sottolineato: «Una stagione da 55 o 60 partite mi sembra una barbarie. Non ha senso creare più competizioni per avere più partite e generare più ricavi quando già viviamo al limite. Noi paghiamo i salari dei giocatori, per cosa? Per poi non poterne disporre quando si infortunano».
«In questo confronto continuo tra le istituzioni – ha sottolineato Gil parlando degli scontri tra UEFA e FIFA – gli unici che soffrono siamo noi, sono i club. Come un padre e una madre che litigano con il figlio che si trova nel mezzo».
Inevitabile affrontare poi la questione Superlega, partendo dalla dipendenza delle società dai diritti televisivi: «C’è una realtà, i club sono economicamente dipendenti da quelli che gestiscono le competizioni. Il 50% dei nostri ricavi dipendono dalla Liga e dalla UEFA, che gestiscono i nostri diritti».
Per Gil, la Superlega è la «conseguenza di quello che ho detto. Da un lato populismo e dall’altro nazionalismo. Tutto il mondo vuole cambiare, ma trovare una competizione giusta quando hai club più ricchi, club medi e club che non portano valore è molto difficile».
Tornando ai convulsi giorni di aprile, durante i quali anche l’Atletico è entrato a far parte della Superlega, Gil ha spiegato: «Ci hanno invitato a fare parte della Superlega, avremmo dovuto essere 15 con i club più influenti d’Europa. Lo abbiamo fatto solo in 48 ore, ma abbiamo capito che stavamo mettendo a rischio due cose essenziali: il calcio tradizionale e il seguito della nostra massa sociale».
«Queste cose mi hanno fatto pensare e con gli azionisti del club abbiamo capito che la Superlega non andava bene. Era come se stessimo tradendo chi ci aveva sempre seguito, così abbiamo deciso di uscire», ha concluso Gil.