(Photo by Valerio Pennicino/Getty Images)

Come atleti professionisti, Matteo Berrettini e Paulo Dybala possono comprendere la pressione delle grandi finali, dei nervi paralizzati prima della partita e l’euforia di competere sui palcoscenici più grandi. L’argentino è una stella della Juventus, mentre il n.1 d’Italia ha ammesso in passato di essere un fan accanito della Fiorentina.

Nonostante la rivalità tra i club, i due atlati hanno scoperto in un’intervista con ATPTour.com di avere un idolo comune: Roger Federer. «Personalmente, non ho mai nascosto di essere cresciuto idolatrando Roger. Mi piaceva il modo in cui faceva sembrare tutto facile, quasi come Ronaldinho», ha detto Berrettini a Dybala. «Il suo modo di stare in campo, la sua eleganza, il suo modo di parlare, l’atmosfera che dà».

L’ammirazione era reciproca e il 27enne Dybala ha ammesso che Federer – insieme proprio a Ronaldinho – è un atleta che ha ammirato a lungo. «Anche io», ha detto Dybala. «Ho saltato qualche volta una partita di calcio per guardare invece le sue partite. Purtroppo non l’ho mai visto di persona, ma spero di poterlo fare» ha dichiarato la Joya.

Berrettini, che ha prenotato la sua seconda apparizione alle Nitto ATP Finals, ha concluso la stagione con un record di 40-10, che comprende la prima finale del Grande Slam a Wimbledon dove ha perso contro Novak Djokovic in quattro set. Dybala ha quindi voluto sapere i dettagli della sua apparizione nel match di campionato sul Centre Court di Londra:

«Avevo dei nodi allo stomaco. Ho cercato di costringermi a mangiare ma era difficile da gestire… Non è stato esattamente facile contro Djokovic», ha detto Berrettini. «Quindi ero nello spogliatoio. Eravamo solo io e Novak. Lui aveva già giocato più di 30 finali del Grande Slam quindi era sicuramente più abituato di me, sicuramente sentiva la tensione. Lui era lì a rilassarsi con la musica nelle cuffie e io ero lì come, ‘Non posso nemmeno mangiare del riso. Come faccio a giocare?’… Ricordo che mi sudavano le mani, non riuscivo a mangiare e quando parlavo con la mia squadra, la testa iniziava a girarmi».

«Ma poi qualcosa scatta dentro di te, 20, 30 minuti prima della partita, quando inizi a riscaldarti. Senti quella scarica di adrenalina, il desiderio di vincere, e senti che potresti battere chiunque. Ti dici ‘sono qui perché me lo merito’… A volte vinci, a volte perdi».

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