«Il presidente Levy ha dimostrato di volermi a tutti i costi. Nelle sue parole e negli investimenti fatti ho percepito una visione: la voglia di eccellere. Mi sono detto: se uniamo questa capacità fuori dal campo a quello che posso dare io in campo, si può davvero impostare un lavoro serio e profondo. Crescere e competere con gli altri grandi club inglesi. La squadra è giovane, ha ampi margini di miglioramento. Ma la concorrenza è spietata con i quattro colossi Chelsea, City, Liverpool, United. E poi Arsenal, West Ham, Everton…».
Inizia così la lunga intervista dell’allenatore del Tottenham, Antonio Conte, rilasciata a Sportweek, settimanale di approfondimento della Gazzetta dello Sport. «Non mi hanno mai spaventato le sfide, mi basta avere anche solo un 1% di possibilità di vincerle per iniziare la mia battaglia. Non ho mai preso squadre che avevano vinto l’anno prima, ma sempre percorsi di ricostruzione», ha aggiunto il tecnico salentino.
Sull’idea che Conte possa fare spendere troppo sul mercato ai club in cui va, l’ex allenatore dell’Inter ha le idee chiare: «Mi viene da ridere. Mi lasci dire che io nella mia carriera alla fine ho sempre fatto guadagnare, non spendere. Ho spesso lavorato con giovani da formare, atleti svalutati o da ricostruire, calciatori che fino a quel momento non avevano mai vinto. Tutti giocatori che si sono rivalutati, grazie al mio lavoro. In carriera ho chiesto solo un giocatore che è stato pagato tanto…(Lukaku, ndr)».
«Chiesi Lukaku ritenendolo fondamentale. Ma guardi anche a quanto è stato rivenduto: quasi il doppio. Come Hakimi. Ma potrei citare la valorizzazione di Barella, Bastoni, Lautaro, che prima del mio arrivo non giocava… Alla Juve ho avuto il piacere di lavorare con Barzagli, Bonucci e Chiellini: fenomeni, ma quando li avevo io ancora non avevano vinto nulla», ha aggiunto ancora parlando dei suoi meriti.
La presenza di Paratici sarà per Conte un aiuto importante durante l’avventura agli Spurs: «Con Fabio il rapporto è solido, c’è grande stima reciproca, abbiamo lavorato insieme, mi conosce. Parliamo la stessa lingua e non mi riferisco solo all’italiano».
Poi, sulla velocità del calcio inglese rispetto a quello italiano: «In partita come in allenamento. In Premier c’è molto meno tatticismo, si va a folate, qui la palla vola, lanciata da destra a sinistra: ne senti il sibilo in aria. In Italia siamo maestri di tattica, le squadre sono organizzate, ma più bloccate, schierate. I minori spazi a disposizione riducono anche l’intensità e la velocità. In Premier si gioca maggiormente a viso aperto. Questo rende le partite più spettacolari. E dal 65’ in poi, quando emerge un po’di stanchezza, può succedere di tutto…».
Poi, una battuta sul ricco ingaggio percepito a Londra: «Conosce già la mia risposta: guadagno per quello che valgo, che produco, che costruisco, che vinco. Il valore di un professionista lo stabilisce la sua storia, i suoi risultati e il mercato che ha».
In chiusura, una curiosità sulla sua sistemazione nella capitale inglese: «Al Chelsea presi una casa vicino al centro sportivo, ma alla fine quei due anni in campagna li ho patiti. Questa volta prenderò un albergo in centro. Starò un po’ di più in auto, ma voglio lasciarmi la possibilità di uscire una sera, vedere gente, andare a un ristorante, vivere una vita normale».