Inchiesta diritti tv, Riccardo Silva (presidente di MP & Silva)

«Ci vorranno mesi, anni, ma il terremoto dello scandalo Fifa ha indebolito le confederazioni del centronord e del sud, contrarie a un’iniziativa del genere per salvaguardare gli interessi locali. A loro affideremo la parte sportiva, assieme ai club gestiremo quella commerciale. Mi sembra un metodo trasparente di cui il movimento ha bisogno». Riccardo Silva, presidente di MP&Silva, parla del suo progetto della Americas Champions League, nuovo format calcistico che la sua società vuole creare in tutto il continente americano, in una intervista al numero odierno di Brand Equity.

Silva – la cui famiglia è proprietaria del gruppo Desa, leader nel settore dei detersivi – vive in Florida ed ha fondato i Miami FC con Paolo Maldini che saranno allenati da Alessandro Nesta nel prossimo campionato NASL americano. Il suo business è quello dei diritti televisivi sportivi che acquista nei singoli Paesi e rivende in pacchetti, in ore di trasmissione, alle televisioni di tutto il mondo. È un settore da 28 miliardi di dollari l’anno (stima della società di consulenza Deloitte), in cui la sua azienda, la MP & Silva, primeggia a livello internazionale.

Nel tempo si è assicurato l’esclusiva della Serie A fuori dalla Penisola, fettone di Liga, Bundesliga e Premier League e dei nuovi presidenti italiani Thohir e Pallotta spiega: «Sono entrambi manager abili, anche se non sono lo sceicco o l’Abramovich di turno, che si permettono di scialacquare senza freni. Hanno la testa sulle spalle, possono far bene in Italia».

E sul calcio nazionale ha le idee chiarissime: «Gli stadi sono vecchi, scomodi, violenti. Bisogna riammodernarli perché sono brand che funzionano anche all’estero». Il nodo è qui: se i biglietti crollano, il merchandising stenta, la baracca regge grazie alle televisioni. E i soldi da abbonamenti e pubblicità con cui finanziare l’acquisto dei diritti, che a loro volta foraggiano leghe e squadre, si fanno soprattutto con i match di cartello.

Silva, sul punto, ha una visione netta: aumentarli. Moltiplicarli. Tramite una super Champions League con 64 partecipanti, almeno sei da ognuna delle nazioni più forti.

L’iniezione letale per i campionati nazionali? «Niente affatto. Hanno valore, non avrebbe senso eliminarli. Ma tagliarli, sì: torniamo a 16 squadre, togliamone quattro. Cancellando otto partite, si userebbero quegli spazi per incontri con Manchester, Barcelona, Real. I primi a esultare sarebbero i tifosi».

A cui non dovrebbe andare di traverso nemmeno il famoso spezzatino, pur con un buffet allargato: «Più partite a più orari aumentano la scelta». Che sarà amplificata da Internet, il futuro Graal dei diritti sportivi: alle storiche Espn e Fox, potrebbero affiancarsi presto Google o Netflix, scatenando l’ennesima asta al rialzo. Malinconico ma verosimile, sarà ancora il business dell’immagine a soccorrere il poema del calcio.

 

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