Germania Italia non è solo la sfida tra la nazionale di Joachim Löw e quella di Antonio Conte nei quarti di finale di Euro 2016. Una sfida parallela, e ben più importante, sta andando in scena a Bruxelles tra i rispettivi governi sulla politica economica dell’eurozona e sulle modalità di intervento in caso di nuove crisi bancarie.
Dopo la Brexit i titoli delle banche italiane hanno perso circa un quarto del loro valore in borsa. Le vendite hanno colpito tutto il comparto bancario europeo, ma alcune debolezze strutturali dei nostri istituti, a partire dallo stock di crediti deteriorati (oltre la media europea in valore assoluto, ma con tassi di copertura in linea con le altre banche dell’eurozona), rendono le banche italiane un bersaglio attraente per la speculazione internazionale.
Se quattro anni fa, fu l’allora presidente del consiglio Mario Monti a battersi con la cancelliera Angela Merkel per ottenere lo “scudo” della Banca Centrale Europea per calmierare gli interessi sul debito pubblico, riducendo in modo consistente lo spread tra i Bund tedeschi e i Btp italiani. Oggi tocca a Matteo Renzi e al ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, sfidare Berlino per creare una rete di protezione per le banche italiane.
Un primo risultato, seppur parziale, il governo italiano è riuscito a portarlo a casa (un po’ come la nazionale di Antonio Conte, qualificatasi in modo convincente ai quarti di finale di Euro 2016). Nei giorni scorsi l’Unione europea ha infatti concesso all’Italia la possibilità di fornire una garanzia pubblica fino a 150 miliardi di euro per far fronte ad eventuali crisi di liquidità delle banche.
In realtà non si tratta di una vera e propria concessione di Bruxelles e della Merkel nei confronti del nostro Paese, ma dell’applicazione delle regole attualmente in vigore (articolo 32 della direttiva 2014/59/Ue) che già consentono a tutti gli Stati dell’Unione, a fronte di eventi eccezionali (come la Brexit), di attivare «una garanzia dello Stato sulle passività di nuova emissione» delle banche.
In caso di difficoltà, dunque, le banche italiane potranno chiedere soldi in prestito più facilmente, perché lo Stato italiano garantirà queste operazioni in cambio di una commissione. Il via libera della Ue, valido fino al 31 dicembre 2016, elimina il rischio di crisi di liquidità per le banche italiane. Peraltro non è un rischio oggi immaginabile, considerando anche il sostegno Bce alla liquidità, e non c’è aspettativa che questo strumento sia effettivamente utilizzato.
Germania Italia, la vera sfida è sul capitale delle banche
Ma sarebbe sbagliato cantare vittoria, visto che la partita è ancora lunga, e il risultato più importante non è ancora stato raggiunto, anche per la determinazione della Germania di non derogare dalla politica del rigore finanziario. La garanzia pubblica sulle emissioni senior della banche italiane previene infatti il problema delle crisi di liquidità ma lascia aperti il tema dello smaltimento dei crediti in sofferenza e dei possibili deficit di capitale per alcuni istituti italiani che potrebbero emergere dagli stress-tes i cui risultati saranno comunicati il 29 luglio.
Per funzionare le banche hanno sì bisogno di liquidità ma anche di capitale proprio. La prima permette di ripagare, giorno per giorno, quei creditori (compresi i depositanti) che vogliano indietro i loro soldi. Il secondo è il patrimonio su cui la banca costruisce la sua attività.
Sebbene non sia quasi mai accaduto che una banca sia fallita per carenze patrimoniali (Lehman Brothers, ad esempio, è finita in bancarotta per mancanza di liquidità a breve termine) il capitale ha una funzione fondamentale per un istituto di credito in quanto ne garantisce la solidità, la solvibilità e la crescita futura.
Il regolamento europeo sui requisiti patrimoniali (CRR), che recepisce i principi di Basilea 3 (le regole internazionali che valgono per tutte le banche) nell’Unione europea, fa obbligo alle banche di accantonare capitale sufficiente per coprire perdite inattese e rimanere solvibili in situazione di crisi. Come principio fondamentale, l’importo del capitale necessario dipende dal rischio legato alle attività di una determinata banca.
Il regolamento indica tale principio come “requisito di fondi propri”, espresso in percentuale delle attività ponderate per il rischio. Con “attività ponderate per il rischio” si intende, in sostanza, che ad attività più sicure (come i titoli di Stato investment grade) è attribuita un’allocazione di capitale minore, mentre alle attività più a rischio (come i derivati) è attribuito un fattore di ponderazione del rischio più elevato. In altre parole, quanto più le attività sono a rischio, tanto più è elevato l’ammontare di capitale che la banca deve accantonare.
L’indicatore chiave per misurare la solidità patrimoniale di una banca è il Common Equity Tier 1 Ratio (CET 1 Ratio). Questo indicatore esprime appunto il rapporto tra capitale versato dai soci della banca (compresi gli utili non distribuiti) e, appunto, le attività (i prestiti, gli investimenti, ecc.) ponderate per il rischio.
Ad oggi il CET 1 Ratio dei principali gruppi bancari italiani è in media del 12,3% ed è circa due punti percentuali inferiore a quello delle grandi banche europee, che però hanno usufruito di ingenti ricapitalizzazioni pubbliche (ne hanno beneficiato ampiamente anche la banche tedesche prima dell’entrata in vigore dell’Unione bancaria europea, che ha vietato gli aiuti pubblici e introdotto il meccanismo del bail-in).
Sui mercati, però, si valutano i casi singoli più delle medie: in particolare si guardano le banche con indici vicini alle richieste Bce (come Unicredit, che con il nuovo ceo Jean Pierre Mustier potrebbe varare un aumento di capitale) oppure quelle che potrebbero perdere patrimonio se fossero chiamate a svalutare le sofferenze a valori di mercato (come Mps).
Nei mesi scorsi le maggiori cinque banche italiane sono state sottoposte agli stress test dell’Eba (European banking authority), i cui risultati saranno comunicati il 29 luglio. Non ci saranno soglie minime da superare, ma alcune banche con valori bassi potrebbero finire sotto pressione.
Alcune banche italiane potrebbero dunque avere bisogno di nuovo capitale. In base alle regole attualmente vigore nell’Unione europea, la cui applicazione rigorosa è strenuamente sostenuta dalla Germania e dalla Merkel, lo Stato italiano non può concedere aiuti pubblici alle banche (come invece fatto in gran parte dei Paesi europei, Germania compresa, subito dopo il crack e almeno fino al 2013).
L’unica strada è convincere gli investitori privati a metterci denaro fresco, finanziando un aumento di capitale. Se non ci fosse interesse, l’aiuto può arrivare da Atlante, il fondo creato con il contributo di banche e istituzioni finanziarie italiane, compresa la Cassa Depositi e Prestiti (Cdp) per sostenere quegli istituti che non riescano a trovare nuovo capitale sul mercato.
Il fondo ha una dotazione di poco più di 4 miliardi e ne ha usati quasi la metà per due istituti in difficoltà, Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza. Ora Atlante sta cercando di aumentare la sua potenza di fuoco e dunque la sua capacità di proteggere il sistema bancario, ma le sue dimensioni resteranno comunque limitate.
Per questo l’Italia, su cui grava anche il fardello del debito pubblico che rende ulteriormente complicato intervenire con denaro pubblico nelle banche, sta cercando di ottenere qualche forma di deroga dalla commissione Ue. Renzi e Padoan auspicano che eventuali ricapitalizzazioni pubbliche in banche solvibili siano possibili senza il bail-in di azionisti e creditori. Una posizione che si dovrà scontrare con la ferrea opposizione della Merkel e dei suoi alleati. La vera sfida tra Italia e Germani più che giocarsi allo Stade de Bordeaux si giocherà a Bruxelles.
Grande Jhon, finalmente spieghi in modo molto chiaro e semplice questo argomento. Complimenti ??⚽️?