“Anche la Var commetterà errori, sicuro, per ricordarci però che tutto è imperfezione, non malafede”.

Così chiude questa mattina sul Corriere della sera il suo articolo che fa il punto sulla prima volta della VAR in serie A il critico televisivo Aldo Grasso.

Non sono mancate le polemiche, nella prima giornata in cui il video assistente arbitrale è stato inserito.

A partire dalla disputa giornalistico linguistica sul nome: maschile, il Var, riferito all’uomo che assiste l’arbitro, o femminile, la Var, con riferimento alla tecnologia video?

L’uomo o la macchina al centro?

Mentre già sui social impazzano le diatribe sul gol di Dybala che fa passare quasi in secondo piano la concessione di un rigore al Cagliari con la Var, ed il contraltare è quello del primo gol del Napoli giudicato irregolare da alcuni moviolisti, l’esperto di media e tv Aldo Grasso analizza a modo suo il cambiamento.

“L’ aspetto più suspense della Var – scrive Grasso, che quindi propende per mettere la tecnologia al centro, adottando il termine femminile – è il gesto che compie l’arbitro per indicare la sospensione temporanea della partita in attesa del responso tecnologico. È il gesto del monitor, a segnalare infine l’adeguamento del calcio ai nostri tempi“.

Tre, sostanzialmente, le novità, secondo lui:

– la prima riguarda la moviola, per anni invocata in campo ed ora presente, ma in una veste totalmente nuova. “La moviola non esiste più, è stata incorporata nelle riprese live, fa parte sostanziale della differenza che esiste tra il punto di vista dello stadio e il punto di vista della tv”

– Grasso offre poi una originale interpretazione: con la Var nel calcio non c’è più moviola ma più arbitro, e un arbitro paradossalmente più solo e meno carismatico. “Una sola cosa non è cambiata, rimanendo ancorata a un modello di cent’anni fa: la terna arbitrale (la cinquina ha fatto solo danni). Il gioco è evoluto sul piano atletico, si è velocizzato, ha introiettato meccanismi, come il fuorigioco, che in tempi passati erano più marginali. L’arbitro invece continua a essere solo, più solo del portiere. Si trova in una evidente situazione di inferiorità visiva. Durante una diretta ha meno carisma del regista televisivo (del resto lui ha due occhi, le telecamere possono essere anche più di dieci), è vissuto come necessità non più come autorità.

– Infine il pubblico. “Gli irriducibili pensano che l’errore faccia parte del gioco e come tale debba essere considerato”. Ma ieri è stata istituzionalizzata una doppia realtà: cosa deve prevalere? “Il punto di vista dello spettatore da stadio (diciamo 30.000 persone per uno partita di cartello) o il punto di vista dello spettatore tv (diciamo sette milioni per la medesima partita)? Oggi gli stessi falli sono inaccettabili perché all’occhio della telecamera non si sfugge.

Ed allora torniamo all’inizio, ovvero alla fine della qualificata riflessione: “Anche la Var commetterà errori, sicuro, per ricordarci però che tutto è imperfezione, non malafede”.

La vera rivoluzione, forse, sarà proprio questa, e non sarà una rivoluzione tecnica, televisiva, moviolistica. Sarà una rivoluzione culturale nell’accettazione dell’errore e nella sua rilettura.

Senza questa la Var avrà solo spostato l’obiettivo della polemica: dall’arbitro alla tecnologia come espressione di un arbitraggio. Ma senza portarci fuori dal solco storico delle infinite dietrologie.

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